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Buona la prima! Gli esordi alla regia più sorprendenti

Non chiamateli semplicemente “esordienti”. Ci sono debutti cinematografici capaci di sorprendere, facendo immediatamente breccia nel cuore del pubblico e conquistando festival e critica. È il caso de I Miserabili, acclamata opera prima di Ladj Ly, e del suo cammino trionfale da Cannes alla nomination agli Oscar.

Il regista francese non è ovviamente il solo ad averci regalato un ottimo esordio. Come non pensare oggi al nostro Gabriele Mainetti?

Con un film decisamente fuori dagli schemi, nel 2016 ha dato una vera scossa al cinema italiano, inaugurando un genere e regalandoci personaggi destinati a rimanere scolpiti nell’immaginario collettivo: il supereroe – suo malgrado – Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) e l’irresistibile villain, “Lo Zingaro” (Luca Marinelli).

Stiamo parlando di Lo Chiamavano Jeeg Robot, che ha regalato a Mainetti il David di Donatello – uno dei 7 su 16 candidature – e il Nastro d’Argento come Regista Esordiente, oltre a un incredibile successo di critica e di pubblico.

Prima di (ri)vederlo in home video e digital download, viaggiamo nella storia del cinema alla ricerca di alcuni capolavori che hanno fatto esclamare: “Buona la prima!”

Ed è subito cult

Esordire a 25 anni, lasciando un segno indelebile nella storia del Cinema? Facile, se ti chiami Orson Welles e due anni prima hai sconvolto gli USA con lo spettacolo radiofonico La guerra dei mondi.

Nel 1940 arriva il suo primo lungometraggio, l’iconico Quarto potere: un “one man show”, con Welles che firma soggetto, sceneggiatura (premiata con l’Oscar) e regia, oltre a interpretare il Citizen Kane del titolo originale. Ed è subito leggenda.

Due parigini non ancora trentenni debuttano invece nella settima arte a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60: i loro film si chiamano I 400 colpi e Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle), loro sono François Truffaut e Jean- Luc Godard.

I ragazzi che studiavano e scrivevano di cinema danno vita alla Nouvelle Vague, cambiandolo per sempre.

Dalla Ville Lumière alla provincia emiliana: nel 1965 un esordiente di nome Marco Bellocchio firma I pugni in tasca, un film-manifesto dove già si leggono le tensioni che scoppieranno inesorabilmente nel Sessantotto.

Proprio nel 1968, il newyorkese George A. Romero realizza (curando regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio e musiche) La notte dei morti viventi: lungometraggio che reinventa il cinema dell’orrore con il racconto cruento di un assedio di zombie, senza nascondere un’acuta critica sociale.

Un film rivoluzionario che continua a essere citato sul piccolo e grande schermo.

Verso il nuovo millennio

Di citazioni, da cinefilo incallito, se ne intende uno più acclamati registi di oggi, l’anticonformista Quentin Tarantino: Le iene (1992) è diventato un vero e proprio cult.

La sua prima pellicola, presentata con successo di critica al Festival di Cannes, non riceverà riconoscimenti prestigiosi ma consacrerà l’ascesa del regista, fissando il suo stile inconfondibile.

Sempre riconoscibile anche il tocco di Sofia Coppola, che si cimenta per la prima volta alla regia nel 1999 con Il giardino delle vergini suicide, trasferendo sul grande schermo il romanzo di Jeffrey Eugenides: lo stupefacente dramma di cinque giovanissime sorelle che, per superare l’oppressione sociale e familiare, trovano nell’autodistruzione e nel suicidio la risposta ai loro mali.

Gli anni Novanta vedono però anche un debutto rivoluzionario nel mondo dell’animazione, che miscela abilmente divertimento e malinconia: il mitico Toy Story, che varrà a John Lasseter l’Oscar Speciale come primo lungometraggio interamente animato al computer. Un gioiello che continua a emozionare spettatori di tutte le età.

Un ultimo salto, e siamo nel nuovo millennio. Ad aprirlo un debutto cinematografico che sfugge a ogni etichetta: l’enigmatico Donnie Darko, scritto e diretto da Richard Kelly.

La colonna sonora, l’inquietante costume da coniglio, le mille interpretazioni (tutte rimaste senza conferma da parte dell’autore): impossibile rimanere indifferenti. Ancora una volta, qualcosa è cambiato.

Cambio lavoro e divento regista

Ci sono poi debutti particolari: quelli di artisti provenienti da altri ambiti, che arrivano dietro la macchina da presa con alle spalle successi e riconoscimenti.

Già scrittore e intellettuale di fama (sempre purtroppo accompagnata da polemiche e accuse di oltraggio alla morale) Pier Paolo Pasolini passa al cinema nel 1961 con Accattone: lavora alla regia e alla sceneggiatura, realizzando un capolavoro della cinematografia che racconta l’Italia del proletariato nelle grandi periferie. Federico Fellini si rifiuta di produrre questo film, che diventa invece una delle opere più rappresentative degli anni Sessanta.

Qualche anno dopo (1969) è invece un attore a fare il grande salto dietro la macchina da presa: non pago di aver debuttato nella recitazione a fianco di James Dean ne Il Gigante, Dennis Hopper dirige, scrive ed interpreta (con Peter Fonda) quello che diventerà il road movie per eccellenza: Easy Rider.

L’era della New Hollywood è ufficialmente iniziata, mentre oltreoceano Cannes premia Hopper come Miglior Opera Prima.

Uno straordinario successo accompagna da subito anche American Beauty (1999), debutto al cinema di Sam Mendes, celebre per la brillante regia di opere teatrali come Broadway Blue room.

Ben 8 le candidature e 5 i Premi Oscar ricevuti (tra cui Miglior Regia e Miglior Film), a cui si aggiungono un Nastro d’Argento e 3 Golden Globes per la storia di un uomo di mezza età (un magnifico Kevin Spacey) alle prese con l’infatuazione con un’amica della figlia. Un film ironico e amaro che mette a nudo il disagio e il vuoto della società contemporanea,

 

Arriva ancora da più lontano lo stilista – ed ex studente di cinema – Tom Ford, che nel 2009 esordisce al cinema con A Single Man. Ispirato al romanzo di Christopher Isherwood, il film ha la sua forza nell’estetica raffinata e nella delicatezza con cui narra solitudine e amore.

Presentato alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, regala la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile al protagonista Colin Firth.

 

Ladj Ly: raccontare la realtà

Crudo e realistico è invece l’esordio di Ladj Ly, regista francese del film I Miserabili, acclamata opera ambientata a Montfermeil, lo stesso sobborgo periferico raccontato da Victor Hugo nel suo romanzo omonimo, pietra storica della Letteratura europea.

Dal 1997, anno in cui realizza il suo primo cortometraggio dal titolo “Montfermeil Les Bosquets”, Ly si dedica a reportage tv e documentari, privilegiando il racconto veritiero e interno ai fatti. Porta avanti una scelta ben precisa: mostrare la realtà. Con questo stesso principio, realizza il suo primo film di finzione, che sorprende la critica e gli spettatori per la tensione crescente, il realismo dei personaggi, il finale spiazzante.

Un viaggio “scomodo” nella complessità dei nostri tempi, in uno dei tanti luoghi in cui l’emarginazione, la povertà e la disoccupazione generano una lotta senza confini: tutti sono contro tutti, e il regista lo mostra senza esclusione di colpi.

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