Ripercorriamo i tratti caratteristici del Cinema di Park Chan-wook con questo approfondimento a cura di Anna Maria Pasetti.
Già filosofo e commesso di videoteca, il cineasta Park Chan-wook ha diverse parole chiave scolpite nel proprio DNA d’autore. Parole come visceralità, cinefilia, morale, violenza, colpa, esistenzialismo, umanismo, riscatto, ambiguità. Persino amore, in un prisma di declinazioni del tutto estremo e personale. E tragica spietatezza, in un significato che sprofonda nel lato oscuro dell’essere umano, e che ben si riassume in una frase di Old Boy (2003), la sua opera più popolare, punta di diamante nella Trilogia della vendetta:
Forse perché formatosi sul cinema occidentale (vedi alla voce Hitchcock) ma anche su quello di Kurosawa, forse perché appunto laureato in filosofia e quindi intimamente interessato e connesso ai meccanismi del pensiero e dell’umana sorte, Chan-wook sa come parlare a un pubblico amplio, come risvegliarlo dal torpore delle “buone maniere” e, naturalmente, come spiazzarlo mettendolo di fronte a se stesso.
Undici i lungometraggi ad oggi realizzati includendo Decision To Leave. E undici differenti applicazioni di uno sguardo coerente, curioso, affilatissimo. I principali festival internazionali, specie quello di Cannes, lo amano, lo invitano spesso a concorrere, e lo premiano perché ne conoscono intimamente un valore immenso, che non è solo relegato alla indubbia capacità registica.
Ne è testimonianza la sopra citata Trilogia della vendetta, esemplare di tragedia epica che continua a sconvolgere perché capace di ragionare sulle dinamiche più universali di donne e di uomini. Cause ed effetti, ovvero ingiustizie e vendette, colpe ed espiazioni. Il tutto cosparso da tanto sangue, perché ancora aperte sono le ferite che lacerano i protagonisti.
Composta da Mr Vendetta (2002), Old Boy (2003) e Lady Vendetta (2005), si tratta di una sinfonia tripartita di cinema sconvolgente eppure “naturale” se intesa come realistica mescolanza tra il Bene e il Male, dove uno non può fare a meno dell’altro per esprimersi. Non è leggenda che Quentin Tarantino, giurato a Cannes nel 2003, di fronte a Old Boy abbia esclamato «Ecco il film che avrei voluto girare io!», decretandolo Gran Prix du Jury sulla Croisette.
Ma non solo vendette per Chan-wook. C’è l’horror metafisico del prete vampiro Thirst (2009) liberamente ispirato a Émile Zola, c’è la cyber-fiaba di fantascienza al femminile I’m A Cyborg, But That’s Okay (2006), c’è’ il thriller nerissimo (e assai hitchcockiano) Stoker (2013) girato in lingua inglese con star hollywoodiane e c’è il torbido Mademoiselle (2016) ambientato nel Sud Corea anni ’30 durante l’occupazione giapponese.
Questo a dimostrazione di quanto Park Chan-wook sia un artista brillante, colto e versatile, la cui capacità registica però ha raggiunto il suo massimo livello di raffinatezza proprio nel melodramma noir-poliziesco Decision To Leave. Qui l’elemento viscerale e di sconvolgimento emotivo è tenuto lateralmente “a bada” perché al centro c’è il desiderio di confondere l’ovvietà del ragionamento, ovvero di chiamare lo spettatore a giocare a carte scoperte con un regista capace di qualunque mossa.