Hayao Miyazaki
Studio Ghibli
Ponyo sulla scogliera e la grande avventura dell’infanzia

Ponyo sulla scogliera di Hayao Miyazaki torna al Cinema, dal 6 al 12 luglio nella rassegna Un mondo di sogni animati. Ci prepariamo con questo approfondimento firmato da Andrea Fontana. Scopri la programmazione qui

Di Andrea Fontana*

Con quel misterioso potere anticipatorio che è proprio dell’arte, Ponyo sulla scogliera (al cinema con Lucky Red, per Un mondo di sogni animati, dal 6 al 12 luglio) non è solo l’undicesimo film dello Studio Ghibli secondo la cronologia canonica che esclude Nausicaä della valle del vento e non è solo il decimo lungometraggio diretto da Hayao Miyazaki, ma è anche una fiaba di derivazione occidentale, ripensata con suggestioni animiste tipicamente orientali, che prefigura la tragedia del terremoto del Tohoku del 2011 e del conseguente tsunami. Ma facciamo un passo indietro.

Brunilde è una piccola creatura del mare che vive con le sue sorelle e il padre Fujimoto in fondo al mare. Fujimoto è una sorta di mago che sta sperimentando una formula per ridare al mare quella ricchezza di vita che un tempo gli era propria. Ma Brunilde è affascinata dal mondo esterno e nelle sue segrete peregrinazioni fa la conoscenza di Sōsuke, un bambino di cinque anni che vive con la madre in una cittadina di pescatori. Sōsuke dà il nome a quella creatura raccolta in mare: Ponyo. Ponyo lega con Sōsuke e decide di voler diventare umana. Ma le sue azioni provocano uno tsunami e il conseguente allagamento di tutta la zona costiera. Solo con l’intervento della madre di Ponyo, Granmammare, una sorta di spirito del mare molto potente, le cose potranno essere sistemate e, forse, il sogno di Ponyo di trasformarsi in umana potrà essere realizzato.

LA FIRMA DI HAYAO MIYAZAKI

Anche se all’apparenza, Ponyo sulla scogliera sembra un film intimo, piccolo, minimalista, la lavorazione che c’è stata dietro è immensa e complessa ed è, a suo modo, simbolo dell’approccio autoriale di Hayao Miyazaki. Da sempre perfezionista e accentratore, con Ponyo sulla scogliera, nonostante l’età, ha voluto occuparsi di buona parte dei processi di lavoro. La lavorazione del film è iniziata nel 2006: due anni e 170 mila disegni dopo, Ponyo sulla scogliera è uscito in sala. 170 mila disegni fatti a mano era, all’epoca, un record persino per Miyazaki. La lavorazione del film si è protratta proprio perché lo stesso regista ha voluto disegnare alcune sequenze chiave, in particolare quelle in cui è presente il mare. Chi avesse voglia di acquistare lo storyboard di Ponyo sulla scogliera, disegnato per lo più da Miyazaki, si accorgerebbe del lavoro certosino e dettagliato fatto addirittura in fase di preproduzione: lo storyboard sembra un fumetto finito, con tanto di acquerelli per tracciare le direttive cromatiche della pellicola.

Rispetto al resto della filmografia di Miyazaki, Ponyo sulla scogliera lavora su una essenzialità che ricorda molto Il mio vicino Totoro. Entrambi i film, infatti, sono esplicitamente rivolti a un pubblico di bambini e bambine, dialoga con il loro mondo di meraviglia. Ciò non toglie che la pellicola poss essere goduta anche da un pubblico adulto. Ponyo sulla scogliera, proprio per il suo essere intimamente connesso all’universo fiabesco e immaginifico dell’infanzia, riduce gli strati di complessità narrativa per mettere in scena la semplicità dello sguardo dei bambini, facendo sì che reale e sogno convivano senza soluzione di continuità, una convivenza che viene vista e accettata anche dal mondo adulto con rispetto e candore. In virtù di ciò, Ponyo sulla scogliera può essere considerato il secondo elemento di un ideale dittico sull’infanzia e sul crescere assieme, appunto, a Il mio vicino Totoro.

Rispetto al film precedente di Miyazaki, Il castello errante di Howl, che era un’opera di accumulo, visivamente virtuosa, che lavorava sulla complessità di più immaginari, Ponyo sulla scogliera prende una posizione diametralmente opposta e lavora sulla sottrazione in un modo che, persino all’interno della produzione ghibliana, non si era mai visto. La prima cosa che salta all’occhio è il lavoro fatto sugli sfondi. La scelta di colorarli con un effetto pastello o a matita ammorbidisce l’esperienza filmica senza smorzare quel senso di meraviglia e, anzi, amplificandolo. Una scelta, quella di Miyazaki, che pare quasi programmatica: Ponyo sulla scogliera è innanzitutto un omaggio all’universo dell’infanzia. E, quindi, è normale che i protagonisti siano due bambini. Sōsuke, i cui tratti si ispirano allo stesso figlio di Hayao, Goro Miyazaki, quando aveva cinque anni; Ponyo, la bambina dai capelli rossi che si emoziona per le piccole scoperte ma soprattutto che intende abbandonare il suo mondo, la famiglia, la sua dimensione esistenziale per unirsi a Sōsuke. Entrambi fanno un percorso di crescita piuttosto chiaro, spinti dall’affetto che ciascuno prova per l’altra. Un amore innocente, quello tra Sōsuke e Ponyo, che include tante sfumature dei rapporti umani, dall’amicizia all’innamoramento. Ma per far sì che Ponyo si riunisca a Sōsuke è necessario che abbandoni la sua forma attuale per diventare, appunto, umana, proprio come Hans Christian Andersen aveva raccontato con La sirenetta.

UNA PROTAGONISTA UNICA

La scelta di Ponyo è una scelta di coraggio: rischia di tornare a essere schiuma di mare e implica dire addio a suo padre, a Granmammare, alle sue sorelle, all’ambiente, quello marino, in cui è nata e cresciuta. È un passo in più verso l’età adulta nel lungo tragitto della vita. Non a caso, il primo elemento di “distacco” è la rinuncia del nome. Dire addio alla vecchia sé e abbracciare quella nuova: non più Brunilde ma Ponyo. La questione del nome come fattore identificativo non è una novità, in Miyazaki. In La città incantata, ad esempio, Chihiro perde e dimentica il suo nome, diventando Sen (proprio come Haku il cui vero nome era Kohaku), almeno fino a quando non sarà pronta a quel passo di crescita richiesto dall’avventura.

Ma Ponyo non è la sola a fare un percorso di crescita. Anche Sōsuke lo fa, cercando di trovare la sua strada senza l’aiuto della madre o del padre. È solo, Sōsuke, e deve dimostrare di sapersela cavare. Di più: è responsabile per sé e per Ponyo. Quel pianto quando non trova sua mamma poco prima di essere consolato da Ponyo è solo un momento di debolezza, riscattato da tutto il percorso finale. Ponyo e Sōsuke crescono insieme, dandosi la mano, affidandosi l’uno all’altra, consolandosi e aiutandosi.

E torniamo all’inizio: Ponyo sulla scogliera esce nei cinema nel 2008 e mette in scena, senza fronzoli, tragedie e allagamenti causati dallo tsunami. Ma lo fa senza patetismi o drammi o spettacolarizzazioni: Miyazaki ci dice che, se due bambini possono trovare la propria strada verso il futuro e la felicità nonostante le avversità, allora tutti possiamo riuscirci. Nel 2011, dopo che il terremoto nel Tohoku e il conseguente maremoto che causerà più di tredicimila morti, Miyazaki si è esposto in prima persona affinché le famiglie e i bambini sfollati e sopravvissuti potessero trovare stralci di serenità, finanziando un parco giochi o organizzando proiezioni dei suoi film.

Che la Storia e il tessuto sociale vibrino nel cinema di Miyazaki è un fatto che è figlio del suo essere connesso alla sua generazione, quella postbellica, quella delle lotte sindacali, delle proteste per la cementificazione violenta e senza criterio. Il terremoto è un fantasma intimamente giapponese, una ferita aperta che continua a ispirare le riflessioni di molti artisti e cineasti nipponici. In Miyazaki c’è sempre un evento catastrofico, talvolta suggerito, talvolta esplicitato (il terremoto del Kanto in Si alza il vento). La grandezza di Ponyo sulla scogliera, dunque, sta proprio nel suo saper affrontare con coraggio e in una forma propositiva, drammi più o meno contemporanei, trovando il perfetto equilibrio fra fiaba, meraviglia e ottimismo.

*Andrea Fontana (Genova, 1981) è un saggista, critico e sceneggiatore di fumetti. Collabora con Fumettologica, dove si occupa di animazione, e con varie testate online e cartacee, tra cui Quinlan.it e Segnocinema. È autore di numerosi saggi dedicati al cinema e all’animazione, tra gli ultimi La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Studio Ghibli. L’animazione utopica e meravigliosa di Miyazaki e Takahata (Bietti), Satoshi Kon (Mimesis). Ha scritto il fumetto Clara e le ombre (Il Castoro), illustrato da Claudia Petrazzi, tradotto in Spagna e in Francia, dove ha vinto vari premi. Ha adattato Tempo da lupi dal romanzo di Francesco D’Adamo (Il Castoro) in un fumetto illustrato da Ste Tirasso.
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