Kiki – Consegne a domicilio di Hayao Miyazaki ti aspetta al Cinema, dal 13 al 19 luglio, nella rassegna Un mondo di sogni animati. Voliamo alla scoperta di questo capolavoro con l’approfondimento firmato da Gabriella Giliberti.
Secondo il critico Mark Schilling, esperto di cinema giapponese e illustre penna nel campo giornalistico di settore, Akira Kurosawa è la porta di ingresso per comprendere la cinematografia giapponese per il pubblico internazionale. Potremmo usare la stessa definizione anche per Hayao Miyazaki e per lo Studio Ghibli per quanto riguarda l’animazione, visto che hanno preso sotto la loro ala più generazioni riuscendo a stupire ogni volta con i loro mondi fantastici. L’animazione fa brillare gli occhi e le storie che vengono raccontate grazie a essa continuano a restare sospese nel tempo con la loro grande capacità di saper interpretare i nostri giorni, cogliendo perfettamente le tematiche attorno a cui gira la nostra esistenza con una precisione disarmante.
Prendiamo il magico e favolistico Kiki – Consegne a Domicilio (Majo no Takkyūbin, come l’omonimo romanzo di Eiko Kadono), uscito nelle sale giapponesi nel luglio del 1989, diretto dallo stesso Miyazaki. Sebbene sia solo il quarto lungometraggio dello Studio Ghibli, possiamo già vedere alcune delle tematiche cardine che torneranno imponendosi lungo tutta la poetica dello studio d’animazione, come il passaggio dall’infanzia all’età adulta, l’indipendenza e la salda volontà di essere fautrici e fautori del proprio destino.
In modo particolare nel personaggio di Kiki sentiamo risuonare queste tematiche più forti che mai, soprattutto legate alla crescita e al cambiamento: le pressioni e ansie riguardanti il futuro e il terrore di non farcela, di non trovare una propria utilità nella società e, di conseguenza, un proprio posto nel mondo. Se consideriamo l’anno d’uscita di questa pellicola, la possiamo collocare in una decade parecchio fortunata per il coming of age tanto al cinema quanto in letteratura. Storie capaci di guidare lo spettatore, prendere per mano e accompagnare chiunque stia affrontando quel tipo di percorso, con dolcezza e tenerezza, aiutando a non avere troppa paura nei confronti dell’ignoto.
A un certo punto della nostra vita arriva un momento in cui non vediamo l’ora di lasciarci alle spalle il nostro passato e partire, magari alla volta delle grandi città per inseguire i nostri sogni. È un momento talmente idealizzato che non ci rendiamo conto che qualcosa sta radicalmente cambiando nella nostra esistenza, che la vita vera è appena cominciata e quella che credevamo fosse un’epica discesa si rivela, fin dalla prima notte passata da soli, una lunga, faticosa e spaventosa salita, che lascia un po’ storditi, spaesati e porta con sé quella sgradevole sensazione di solitudine. La nostra Kiki prova esattamente questo dopo essere partita per la cittadina sul mare di Koriko, carica di sogni e aspettative, rivelatesi ben presto delle illusioni disarmanti.
Kiki è una giovane strega di 13 anni e ha due grandi doti: volare sulla sua scopa di saggina e parlare con il proprio famiglio, un gatto nero di nome Jiji. Come tutte le sue coetanee, anche Kiki deve cominciare il suo noviziato fuori casa, per offrire le sue abilità in quanto strega e trovare la sua strada. L’iniziale entusiasmo della ragazza, che rivela anche l’animo più semplice e genuino della campagna, deve scontrarsi con la freddezza e indifferenza della città, schiacciandola in una morsa di insicurezze.
Myazaki, con il suo tono poetico, le sfumature pastello e un racconto che si snocciola tra cielo e terra, mostra l’importanza dei nostri momenti di fragilità: sono questi, infatti, che ci aiutano ad affrontare il mondo, a conoscere noi stessi e fare delle debolezza la nostra forza.
La prima grande tematica messa in scena con Kiki – Consegne a Domicilio da Hayao Myazaki è il “drammatico” passaggio dall’età dell’infanzia a quello dell’adolescenza che segna l’avviarsi verso l’età adulta. Si perdono i confini sicuri, in questo caso rappresentati dalla vita di campagna, così come la semplicità, la leggerezza tipica dell’infanzia, che per Kiki viene rappresentata proprio attraverso il suo essere strega. Il sentirsi sradicata dalle proprie radici e scoprire che la realtà della metropoli, la crescita e l’inseguimento dei propri sogni sono molto diversi da ciò che si aspettava la portano gradualmente a perdere fiducia in sé stessa. Il cambiamento crea in lei una profonda frattura nella sua autostima a tal punto da mettere in dubbio le sue stesse capacità.
Non smettiamo mai di metterci in discussione, di temere che le nostre qualità non siano abbastanza o che non siamo sufficientemente bravi per ciò che facciamo, di non essere più portati o di esserci illusi. È la famigerata sindrome dell’impostore che arriva funesta soprattutto nei momenti di grandi cambiamenti. Kiki viene sopraffatta da quelle classiche domande che tormentano gli adolescenti: “Sarò in grado di trovare lavoro? Di mantenermi e prendermi cura di me stessa? Di sentirmi realizzata? Sarò in grado di sopravvivere al futuro senza venire schiacciata dal peso dell’ansia e delle aspettative?”
Ora come ora, nella grande cornice di incertezza del nostro mondo, questi quesiti sono più attuali che mai. Sono domande a cui c’è sempre una risposta, ma è graduale, arriva con il tempo e con il superamento di quelle piccole prove che ci mettono a confronto con le nostre reali capacità, determinazione e forza di volontà, nonché spirito di adattamento. Il viaggio che la giovane strega intraprende è fatto proprio di piccole e grandi sfide che la portano a confrontarsi con la necessità di affrontare i propri timori e responsabilità della vita adulta, sviluppare la propria identità e trovare il proprio posto nel mondo.
Un grande valore viene dato anche alla rappresentazione della dimensione lavorativa, direttamente connessa alla tematica della crescita e dell’indipendenza. Partiamo dal presupposto che, come in molte storie dello Studio Ghibli, da La Principessa Mononoke a Nausicaä della Valle del Vento, i personaggi femminili sono sempre molto forti. Non hanno bisogno di niente e nessuno per determinarsi, devono affrontare il loro cammino a modo loro.
Vengono rotti gli stereotipi di genere, oltre a quelli legati alla classica caratterizzazione negativa della strega che qui, invece, assume valore di forza e lotta. Ciò viene fatto non solo attraverso l’emancipazione stessa data dal lavoro ma anche con il confronto tra due generazioni diverse: una ancorata alle tradizioni più classiche e meno indulgenti e l’altra rappresentata dalla freschezza e dal coraggio di Kiki.
Sono proprio due personaggi femminili a spronarla nel mettere a frutto le sue qualità nel migliore dei modi: Osono, la prima a dare ospitalità a Kiki, e Ursula, il suo alter-ego adulto. Con il suo servizio di spedizioni Kiki trova la sua utilità, il suo apporto alla società, e comincia a provare la fatica e la frustrazione che qualsiasi lavoro porta con sé, soprattutto all’inizio, quando si muovono i primi passi. Ma è proprio attraverso questa fatica che Kiki ha la sua occasione per inserirsi all’interno del tessuto della città, per conoscere meglio i suoi abitanti, le loro abitudini, il lato buono e più cupo dell’essere umano.
Grazie ai legami che intreccia con gli altri, la giovane strega impara l’importanza delle connessioni umane e della costruzione di relazioni significative, ma soprattutto impara che il proprio posto nel mondo si costruisce piano piano. Passo dopo passo. Le occasioni di farsi conoscere, mostrarsi per quello che si è, per il contributo che possiamo offrire, basta saperle aspettare, superando una volta per tutte la paura di fallire e non essere abbastanza. Come? Credendo in sé stessi.
La magia rappresenta la parte più intima di Kiki, quella profondamente speciale: definisce la sua identità e le sue capacità, dandoci la possibilità come spettatori di interpretarla come una metafora per la creatività e per il talento impareggiabile che ogni individuo possiede. Tuttavia Myazaki sembra volerci mettere in guardia contro la possibilità di perdere o dimenticare la nostra “magia” interiore a causa delle pressioni esterne.
Kiki, infatti, sperimenta un momento di crisi personale in cui perde temporaneamente la capacità di volare e di poter parlare con Jiji. Perde la connessione con la sua magia e, di conseguenza, con sé stessa. Smette di credere nelle sue potenzialità, nel potere della creatività, dell’immaginazione che funge da ponte tra due dimensioni, quello dell’infanzia e quello dell’età adulta. Lo smarrimento arriva in un momento critico, tra la crescita, il presentarsi delle prime grandi difficoltà e il non sentirsi abbastanza. Ed è proprio in questo momento che il film sottolinea l’importanza di preservare la propria autenticità, di parlarsi e guardarsi dentro, comprendersi e darsi il tempo giusto, per poi accettarsi anche nei cambiamenti e tornare a credere.
Questo enorme momento di consapevolezza finale porta al completo cambiamento di Kiki, ma anche ad uno sguardo diverso da parte dello spettatore. Se fino a quel punto il film si è mosso sui toni della favola, ora assume le sue sfumature maggiori e più complesse. Kiki è cresciuta, è cambiata. È pronta ad affrontare il mondo con una forza diversa, e anche se una parte di sé non tornerà più e continuerà a vivere unicamente nei ricordi del passato, adesso ha imparato, e noi con lei, a valorizzare sé stessa e la sua unicità, e ha capito che il suo spirito non dipende dal giudizio degli altri: ma dal suo amore per sé stessa.
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