Il cacciatore
Il cacciatore, la prima volta. Parte 1: il ricordo dei giornalisti cinematografici

Mentre Il cacciatore sta per tornare al cinema, abbiamo raccolto i ricordi e le emozioni della prima visione, in sala in Italia nel 1979 o sul piccolo schermo. In questa prima parte, la parola ai giornalisti cinematografici.

8 dicembre 1978. Il Cacciatore di Michael Cimino arriva per la prima volta sul grande schermo. I cinema sono soltanto due, uno a New York e uno a Los Angeles. Una distribuzione più ampia si sarebbe avuta solo nel 1979, all’indomani delle 9 nomination agli Oscar. In Italia sarebbe poi arrivato il 23 marzo 1979.

Destinato a diventare un film di culto e nell’immaginario collettivo uno dei film di guerra più importanti, e allo stesso tempo uno dei più discussi e controversi della storia del cinema americano, Il cacciatore ha segnato generazioni di critici e giornalisti cinematografici, diventando nel tempo una pietra miliare del proprio percorso di formazione.

A 45 anni dalla sua prima apparizione, in occasione del ritorno in sala, abbiamo chiesto ad alcuni di loro di condividere con noi il ricordo legato alla prima visione di questo grande capolavoro. Tra chi nel 1979 era già una firma e chi non sapeva ancora che il suo destino sarebbe stato “in punta di penna”, una cosa è apparsa chiara: Il cacciatore ha lasciato in tutti un segno potente e indelebile, sedimentandosi nel cuore e nella mente, pronto a riaffiorare, indimenticato.

I ricordi dei giornalisti cinematografici

Quando Il cacciatore uscì in sala in Italia io stavo facendo il servizio militare. Aldo Moro era stato assassinato da poco, anche i militari di leva erano precettati in servizi di ordine pubblico. C’era una tensione palpabile nell’aria. Andai a vedere il film durante una libera uscita con un mio commilitone. E lì, per la prima volta, credo di aver cominciato a capire cos’è davvero la guerra, cos’è l’amicizia, cos’è il coraggio. È – assieme a Apocalypse now – il film che mi ha aiutato a oltrepassare la mia linea d’ombra: uno di quei capolavori che dopo averli visti non sei più quello che eri prima.
(Gianni Canova – We love cinema)

Vidi Il cacciatore nelle sbornie cinefile della mia adolescenza, durante uno di quei pomeriggi in cui allo studio preferivo i film e la lettura di critica e saggi sul cinema, le VHS sottratte all’edicola di mio padre o quelle registrate a tripla velocità (una di 4 ore ne copriva 12), alla rincorsa dei capolavori che la televisione passava in palinsesto e che io segnavo a pennarello sulle pagine di Film Tv, il giornale che oggi dirigo, per ricordarmi di non perderli. Il film di Cimino era stato distribuito in allegato al Corriere della sera, collana Il grande cinema. Quel pomeriggio lo ricordo come un unico, lunghissimo respiro: di fronte avevo un cinema che era troppo grande e insieme troppo semplice da capire (quando si è giovani cinefili si tende a cercare un disegno preciso, una sovrastruttura, un pensiero d’autore prendibile), ma non da amare. Recuperai tutto il possibile, di Cimino. Oggi, che la posso capire, quella sua grandiosa semplicità, resta la traccia struggente di un cinema bigger than life che è stato possibile pochissime volte, una promessa mantenuta solo in rarissime opere. Non l’ho mai visto al cinema, e sono felice di farlo. Anche solo per reincontrare quei primi piani di John Cazale, che Cimino filma da subito come se con quel grande attore a un passo dalla morte ci fosse già il suo fantasma.
(Giulio Sangiorgio – Film Tv)

Non avevo ancora deciso esattamente chi volevo essere e come.  Il cinema, però, c’era già, una presenza potente, nella vita mia, di mia madre e di mio fratello Valerio. Ho visto Il cacciatore a Napoli, con amiche, e dopo, per giorni e giorni, ho sentito Valerio parlarne esaltato. E poi ho sentito Valerio discutere (molto animatamente) con quelli che dicevano che era un film anticomunista perché mostrare il ritratto di Ho Chi Minh nella sequenza in cui i soldati americani vengono torturati voleva dire puntare il dito contro i Vietcong, “vittime dell’imperialismo americano”. Anche io ero impazzita per il film, ma ero giovane. Con le mie amiche, da quando avevo visto Il cacciatore, avevo preso a dividere i ragazzi in due grandi categorie, quelli come Mike (De Niro) e quelli come Nick (Walken). Mike era il buon esempio, il migliore, quello che tutte avremmo voluto incontrare. Per l’intera esistenza ho continuato a sbagliare, scegliendo sempre Nick. Ma questa è un’altra storia. Che non leva nulla al capolavoro di Cimino, tributo struggente alla giovinezza perduta.
(Fulvia Caprara – La Stampa)

C’è stato un periodo per me elettrizzante, ero adolescente negli anni ‘90, in cui il Cinema Moderno in Piazza della Repubblica a Roma smise di essere un porno e, prima di diventare un multisala, regalò una programmazione fenomenale di film classici, più o meno lontani nel tempo. Fu in uno di quei pomeriggi, con le poltrone ancora provate da lussuriosi spettatori, che la mia diversamente intesa, ma non meno intensa, lussuria cinefila fu appagata in pieno dalla visione de Il cacciatore, di cui tanto avevo sentito parlare e la cui locandina mi aveva sempre dato una certa angoscia. Fra le tante cose che mi ha insegnato quel capolavoro, da quel momento fra i pochi punti fermi nella classifica in costante aggiornamento dei miei film preferiti, è la straziante fascinazione del dopo, della ricostruzione dopo un evento traumatico, che sia personale o collettivo.
(Mauro Donzelli – Coming Soon)

Il ricordo di un film che apriva una finestra su una realtà americana diversa dalle altre, fuori dalla pazza folla della metropoli ma intriso di una verità speciale, sia quando parla di guerra sia quando parla di pace, che era la ritrovata e dolorosa realtà di un cinema che usciva anch’esso dalla sconfitta nel Viet. Mi sembrava e credo che mi sembrerebbe ancora, rivedendolo, un film da non affettare con la mannaia dell’ideologia, come in parte allora fu fatto, ma da gustare nei particolari, nelle tinte boschive e autunnali, nelle espressioni di ogni singolo e straordinario attore (oggi tutti super divi) e in quel realismo che ti faceva spesso venire il dubbio di qualcosa sottobanco. Il film più bello di Cimino e quello che rientrava, pur talvolta a fatica, nei ranghi di un cinema commestibile, tanto da vincere 5 Oscar.
(Maurizio Porro – Corriere della Sera) 

Il turbamento. L’aspetto emotivo che più ricordo della prima visione de Il cacciatore – avvenuta in una seconda serata televisiva quando ero adolescente – è questa. Il capolavoro di Cimino non chiede il permesso di entrare nella memoria degli spettatori, la violenta, la aggredisce di diritto. Perché questo è il Cinema che resta nella vita, che altro non è che una roulette russa.
(Anna M. Pasetti – Il Fatto Quotidiano) 

Il cacciatore ha una dote particolare, quella di avere una singola scena che ne precede la fama, lo rende noto a tutti, gli dà quel carattere misterioso e vagamente proibito che lo rende attrattivo fin dall’adolescenza, quando vedere un film per adulti, prima ancora di diventare cinefili, è una sfida. Io lo vidi per la prima volta a tarda sera, praticamente notte, ancora ragazzino, all’inizio degli anni ’90. Lo vidi per “quella” scena e invece lo ricordai a lungo per tutto il resto, naturalmente a partire dalla lunga sequenza del matrimonio tra Steven e Angela. Non riuscii a finirlo la prima volta, tre ore così impegnative non erano ancora alla mia portata, ma l’ho finito molte volte in seguito e ha contribuito alla mia formazione come cinefilo come poche altre cose: ogni volta mi inquieta, esalta e riempie di bellezza. È uno di quei film che spalanca le potenzialità del cinema.”
(Giorgio Viaro – Best Movie)

Il come lo ricordo, il dove anche. Il quando faccio fatica a metterlo a fuoco, ma poco importa, in fondo, rispetto a “cosa” abbia rappresentato quella visione. Notturna, sul piccolo schermo di casa, sicuramente frequentavo ancora il liceo, quindi prima metà degli anni ’90. 

Sapevo, certo, cosa fosse stato il Vietnam e cosa aveva rappresentato per gli Stati Uniti a livello politico, sociale. Ignoravo però probabilmente cosa avesse significato davvero per gli esseri umani, nel profondo. 

Il cacciatore di Michael Cimino – prima e meglio di qualunque altro film incentrato su quell’inferno, come l’immediatamente successivo Apocalypse Now di Coppola – ha saputo colmare questo vuoto, sedimentandosi e ripresentandosi sulle superfici della memoria, tra le urla folli di una roulette russa senza speranza e il sorriso accennato, triste, di Meryl Streep. Mai più, credo, il cinema è stato in grado di rappresentare con la stessa potenza le persone coinvolte prima, durante e dopo quella ignobile guerra.
(Valerio Sammarco – Cinematografo.it) 

Estate 2018, avevo 19 anni. Vedo Il cacciatore in streaming, in una casa di campagna di amici. Era praticamente l’ultimo grande “film sul Vietnam” che mi mancava di recuperare. E invece mi ritrovo davanti una gran festa lunga un’ora intera, a simboleggiare cosa ci si sta lasciando alle spalle. Non credo di aver mai cantato tanto a squarciagola Can’t Take My Eyes Off You, come i protagonisti nel film. E non c’è brindisi, da allora, in cui non dica “Na zdoróvʹje” come Robert De Niro nel film. So che la tradizione non lo prevede, ma Il cacciatore vince persino sulle tradizioni.
(Carlo Giuliano – Ciak Club)

La mia prima volta con Il cacciatore fu quando avevo appena 16 anni, studiavo Cinema e ce lo fecero vedere a scuola. Non avevo mai visto recitare insieme mostri sacri come Robert De Niro, Meryl Streep, Christopher Walken e il mai abbastanza celebrato John Cazale: non sembravano attori, ma persone vere che interagivano, soffrivano, speravano… alcune scene mi rimasero impresse a fuoco nella testa e sotto la pelle. Ricordo che all’epoca fu uno dei film che mi sconvolse di più e probabilmente è una delle opere che più mi fece capire cosa fosse davvero “il Cinema”.
(Teo Youssoufian – Cinefacts)

Non avevo l’età per Il cacciatore, avevo meno di 14 anni e un buon amico che lavorava al cinema Perla di Milano. Ubicata al civico 19 di via Imbriani, era la sala delle terze visioni e della mia infanzia: 700 posti, una platea e nessuna galleria per una programmazione (quasi) tutta americana. Era il debutto degli anni Ottanta, avevo ancora pochi film alle spalle ma qualcosa già risuonava nella testa e nel cuore. Nel film di Michael Cimino, come in un classico della Disney, un cacciatore incontrava un cervo e sparava, “one shot”. Con Bambi avevo appreso la natura mortale delle nostre mamme, con Il cacciatore imparavo che al cinema il cervo appare sempre in un momento cruciale della vita dell’eroe. Ed è sempre una questione di sguardo o piuttosto di uno scambio di sguardi. Il faccia a faccia tra l’uomo e il cervo diventa un momento chiave, quasi un cliché, che sospende il corso dell’azione. Il ricordo che conservo è un istante fugace, una pausa magica nella narrazione, il tempo si ferma e rimango appesa come De Niro al suo fucile. Quando tutto sembra perduto per il suo personaggio, un (secondo) cervo gli appare, maestoso, quasi leggendario, coi suoi occhi da cerbiatto e i suoi palchi solenni. E dopo la straordinaria violenza che ha vissuto in Vietnam, Mike non può più abbatterlo. Grande film sulla perdita dell’innocenza, lo avrei capito più avanti, Il cacciatore mi ha insegnato presto a incassare le ferite, le più segrete, come una presa di coscienza supplementare. Perché mentre gli altri cadono a pezzi, Mike ha la forza morale e psicologica di affrontare la realtà, guardare Bambi negli occhi e abbassare il fucile.
(Marzia Gandolfi – Mymovies)

Lo vidi un pomeriggio, su una vecchia videocassetta prestata da un amico. Ricordo ancora che ebbi una folgorazione davanti alla scena in cui Mike, Nick e gli altri si mettono a cantare Can’t Take My Eyes Off You di Frankie Valli mentre giocano a biliardo. Sembravano amici veramente, non era cinema, ma vita, vita vera….
(Andrea Morandi – Hot Corn)

Visto in tv, nei primi anni ‘Ottanta (sono nato nel ’71), a casa, con mia madre che, come sempre, indirizzava le visioni familiari e faceva nascere la mia passione per il cinema. È stato sicuramente il primo film più lungo che abbia mai visto e uno dei più profondi sull’amicizia. Oltre ad essere già un grande ammiratore di Robert De Niro, il mio attore preferito insieme a Meryl Streep splendida protagonista, non mi sono mai più tolto dagli occhi le interpretazioni immense di John Cazale, già prematuramente scomparso, e di John Savage che avevo visto precedentemente, live al cinema, nel 1979 in Hair. Due film in cui il Vietnam segna la fine delle utopie delle generazioni del ’68.
(Pedro Armocida – Il Giornale)

La prima visione de Il cacciatore fu domestica, in VHS presa a noleggio. Dovevamo essere nel 1989, poco prima che compissi i dieci anni. Lo vidi con i miei genitori, mia sorella, gli zii, una domenica pomeriggio autunnale e sonnacchiosa, dopo aver ascoltato alla radio “Tutto il calcio minuto per minuto”. Mi piacque moltissimo, ma non mi commossi quanto mia madre. Lo rividi in beata solitudine pochi anni dopo, quando la VHS uscì con l’Unità (sarà stato il 1994), e mi straziò completamente, sensazione di svuotamento emotivo che da allora non mi ha più abbandonato ogni volta che l’ho rivisto.
(Raffaele Meale – Quinlan)

Il cacciatore è uscito nel 1978, quando ancora non esercitavo l’attività di critico; e mi sono precipitata a vederlo sul richiamo  di Robert De Niro che film come Mean Streets, Taxi Driver, Padrino 2, New York New York avevano reso uno dei più iconici (anti)divi della  New Hollywood. Poi…Quella strana comunità di oriundi slavi, quell’inedita cornice operaia, quell’ampio respiro di racconto, quei vietcong dipinti a tinte fosche, la macabra roulette russa metafora dell’arbitraria disumanità della guerra, la raccapricciante violenza di un conflitto che si riverbera sui corpi e le anime dei sopravvissuti, l’amarezza della disillusione, il senso di disfatta. Forse, come alcuni hanno scritto, poco accurato, politicamente scorretto e magari contraddittorio: ma forte, straziante, immaginifico, conturbante. Ero andata sul nome di De Niro e sono uscita con quello di Micheal Cimino ben impresso nella mente
(Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa) 

Con mio padre, in TV. Mi colpì, avrò avuto 16-17 anni, che fossimo coetanei, io e il film. E mi colpirono i due John, Savage e Cazale. Ma soprattutto una battuta: “Avete mai pisciato e bevuto birra nello stesso tempo?”. Mi risposi di sì.
(Federico Pontiggia – Il Fatto quotidiano)

Quando Il cacciatore è arrivato per la prima volta nelle sale, ero troppo giovane per vederlo al cinema. I miei genitori invece ci erano andati e per un paio di giorni a casa non si parlò d’altro. Il mio primo incontro con il film è stato in tv, forse nel 1983, e quello che ricordo di quella visione è la scena iniziale del cervo, quella della roulette russa e il brano Can’t Take My Eyes Off You, che quell’anno divenne l’inno della nostra classe, cantato a squarciagola. La seconda volta è stata all’Università, quando noi studenti di cinema alla Cattolica di Milano non vedevamo l’ora che arrivasse il venerdì, il giorno dedicato alle proiezioni. Una dietro l’altra, proprio come ai festival. Quelle immagini si sono talmente sedimentate nel mio immaginario che durante un viaggio in Thailandia con un amico pretesi una deviazione nelle location del film, in particolare quella dove la scena della roulette russa era stata girata, non lontano da Bangkok. Negli anni successivi le visioni sono state molteplici e nel 2005 scelsi proprio Michael Cimino per uno dei libri di una bella collana dedicata ai più celebri cineasti pubblicata da Mondadori insieme al mensile Ciak. Ho scritto quel saggio sul tavolo di una bella terrazza di fronte al mare di Ischia durante l’estate più dolorosa della mia vita, quella della morte di mio padre. Cimino mi teneva compagnia, mi consolava. Da allora non ho più rivisto Il cacciatore, ma credo sia finalmente arrivato il momento di farlo.
(Alessandra De Luca – Ciak, Avvenire) 

L’immagine di Robert De Niro e Christopher Walken con fascia rossa in testa e pistola alla tempia era un meme prima che i meme sapessero di esistere. Un’immagine iconica, impossibile da ignorare per chi, ormai punta dall’insetto della cinefilia, consumava senza sosta film di ogni epoca. Visto, purtroppo, la prima volta sullo schermo del televisore di casa (una VHS della collezione di mia madre, comprata con il giornale), pensavo di aver messo su una semplice pellicola cult, da conoscere per cultura cinematografica, invece ho scoperto non soltanto un grande regista, Michael Cimino (che poi con I cancelli del cielo mi avrebbe fatto definitivamente perdere la testa), ma anche il “lato oscuro”. Del cinema e della vita. Il cacciatore comincia con una grande festa, tutti sono felici. Poi la guerra, l’orrore, la follia. Uno di quei film che, in qualche modo, ti cambia.
(Valentina Ariete – Movieplayer.it)

I film importanti ci costringono ad un viaggio nel tempo. Costantemente. Un avvolgente flashback delle nostre emozioni di spettatori. Racconti istanti e presenti. Vivide e vagamente sfocate nella memoria le storie di decenni fa hanno continuato a lavorare nella nostra memoria, hanno condizionato, per sempre, il nostro sguardo. Il cacciatore, visto in una proiezione stampa di molti decenni fa, meno affollata di quelle contemporanee, ha tenuto, nel corso delle tante stagioni, vivissima la tensione d’amore tra Streep e De Niro, la sfida, quasi paritaria, della caccia al cervo (ieri come oggi, si fa il tifo per l’animale), il senso dell’amicizia eterna, d’acciaio come il loro lavoro in fabbrica, gli umori di un America minore, che probabilmente oggi voterebbe per i repubblicani, l’ansia della roulette russa. Anche nel gioco di morte un colpo solo è quello del destino. L’altrove sono il Vietnam e le radici russe dei personaggi. I personaggi di Cimino ballano, muoiono e spesso si perdono. A caccia di una felicità impossibile. E noi spettatori continuiamo, per sempre, ad amarli.
(Enrico Magrelli – Hollywood Party) 

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