In concorso a Cannes, Marcello Mio vede Chiara Mastroianni nei panni del padre; ma non è stata l’unica donna nella Storia del Cinema a interpretare personaggi maschili, con risultati straordinari.
Può una donna interpretare ruoli maschili ottenendo risultati alle volte anche migliori di tutti gli altri uomini del circondario? Assolutamente sì. Alle volte la cosa è facilitata dalla natura dichiaratamente androgina del personaggio, e quindi giustificata in fase stessa di sceneggiatura. Altre volte per somiglianza. In ogni caso, sempre e comunque perché dietro c’è un’attrice magnifica, dal talento sconfinato.
È successo molte volte nella storia del cinema, spesso ha garantito premi e riconoscimenti alle protagoniste e sarebbe bello poter tifare affinché questo avvenga anche con Marcello Mio, il nuovo film di Christophe Honoré in concorso proprio in questi giorni alla 77ª edizione del Festival di Cannes. Un film realizzato in occasione del centenario dalla nascita di uno dei più grandi attori che il nostro Paese abbia mai visto: Marcello Mastroianni.
La particolarità? Che a interpretare Marcello Mio c’è proprio la figlia e attrice Chiara Mastroianni. Tutto parte quasi da un gioco, e diventa omaggio, laddove chiunque incontri Chiara Mastroianni nota costantemente le incredibili somiglianze fisionomiche col padre. E allora lei cosa fa: ne veste i panni, le movenze, gli inconfondibili occhiali, arrivando al tono di voce e alla perfetta imitazione, riuscendo a sconcertare persino sua madre, Catherine Deneuve. Il viaggio di Chiara in giro per l’Italia diventerà un viaggio di ritorno, per Marcello, nei luoghi della sua vita e del suo cinema.
Ma come anticipato, Chiara Mastroianni non è stata l’unica.
Dublino, 1898. Albert Nobbs lavora come cameriere presso l’Hotel Morrison. In realtà è una donna che si veste da uomo per poter lavorare (e per ragioni molto più recondite e dolorose) e nessuno ha mai scoperto il suo segreto. Le cose cambieranno quando farà la conoscenza di Hubert, un imbianchino che si trova nella stessa situazione di Albert, con la differenza che lui è sposato con una donna che conosce il suo segreto.
Tratta dal racconto dello scrittore irlandese George Moore, la pièce teatrale La singolare vita di Albert Nobbs veniva portata sul palcoscenico fin dal 1982 da Glenn Close, che da anni sognava un adattamento per il cinema. Sarebbe arrivato dopo un’infinità di problemi e stop produttivi, nel 2011, per mano del regista Rodrigo García, con cui l’attrice aveva già collaborato in passato.
Oltreché su questioni di identità di genere in un’epoca in cui queste non erano neanche lontanamente concepite, tanto da portare Albert Nobbs a pensare di essere davvero l’unico al mondo, il film scava anche nelle ferite profonde di essere donne in un mondo di violenze e delle maschere che queste si trovano a dover assumere per proteggersi. La tripletta di candidature agli Oscar rappresenta alla perfezione i punti di forza di Albert Nobbs: Miglior Attrice Protagonista e Non Protagonista rispettivamente a Glenn Close (Albert) e Janet McTeer (Hubert), oltre al Miglior Trucco, indispensabile alla riuscita.
Negli ultimi tempi si parla tanto del nuovo biopic su Bob Dylan per la regia di James Mangold. Ma se pensate che nessuno più di Timothée Chalamet possa risultare somigliante rispetto al geniale cantautore, vi sbagliate. O non avete mai visto Io non sono qui di Todd Haynes, via di mezzo tra falso biopic e falso documentario. Un film pieno di maschere e bugie, per raccontare tutte le verità su Bob Dylan, tutte le vite che ha vissuto.
L’operazione di Todd Haynes fu geniale. Attraverso sei personaggi diversissimi fra loro, Io non sono qui stava a rappresentare ciascuna delle anime del personaggio Dylan. Molti non erano cantanti e nemmeno suoi contemporanei. C’erano “il Fuorilegge” Billy the Kid (Richard Gere) e “il Falso” Woody Guthrie (Marcus Carl Franklin), personaggi da Vecchio West. C’erano un “Profeta” (Christian Bale) e un “Poeta”, l’Arthur Rimbaud interpretato da Ben Whishaw. Infine un “Attore”, il compianto Heath Ledger.
Sono tutti uomini, nessuno rispecchia davvero un momento specifico della carriera di Dylan (se non in senso metaforico) e nessuno gli somiglia poi tanto. Ma ne manca uno, il sesto, quello che davvero ha le sembianze di Dylan, talmente uguali da fare impressione. Ecco, il sesto uomo è in realtà una donna, Cate Blanchett. Pochi minuti di scena le consegneranno la Coppa Volpi al Festival di Venezia e una nomination agli Oscar. La provocazione di Haynes è totale, geniale; l’interpretazione di Blanchett, paurosa.
Oggi un ruolo come quello andato a Hilary Swank alla vigilia del nuovo millennio, potrebbe sembrare una prassi, una scelta da nuovo millennio. Oggi ruoli transgender come Jules di Euphoria vanno ad attrici come Hunter Schafer. Ma quando nel 1999 la regista Kimberly Peirce decise che sarebbe stata una donna a vestire la storia di Brandon Teena, ragazzo transgender brutalmente assassinato nel Nebraska, fu uno shock (in positivo) che cambiò le cose.
Boys Don’t Cry, titolo evocativo, non è quindi semplicemente un esperimento di bravura attoriale tramite un cambio d’identità, ma all’opposto insiste proprio sul tema del riconoscimento dell’identità di appartenenza in un’epoca e in un luogo in cui la chiusura mentale e la violenza sulla comunità LGBTQIA+ erano ai massimi livelli.
Hilary Swank nei panni di Brandon Teena è ricordata come una delle interpretazioni più difficili e strazianti, per una donna nei panni di un uomo, nella Storia del Cinema. Non a caso rimane uno dei ruoli più noti di un’attrice colpevolmente dimenticata. Non a caso, le consegnerà l’Oscar seguito da un secondo, cinque anni dopo, per l’unico altro film della sua carriera in grado di competere: Million Dollar Baby.
Tilda Swinton è considerata una delle attrici trasformiste per eccellenza. E all’occorrenza, attrice androgina per eccellenza. Ha interpretato uomini, donne ultracentenarie e poi ancora uomini ultracentenari. In quest’ultima casistica era talmente irriconoscibile che il regista pensò bene di accreditarla con un nome maschile, tanto era possibile mantenere il segreto, e giocarci. Molti l’avrebbero scoperto solo diversi mesi dopo
Ma partiamo dal 1992 e dal film di Sally Potter tratto dal rivoluzionario romanzo di Virginia Woolf, per chi avesse mai avuto dubbi sulla modernità della scrittrice vissuta fra ‘800 e ‘900: Orlando. Siamo nel XVI secolo e la Regina Elisabetta I ordina al nobile Orlando di non invecchiare mai. Lui ubbidisce, vive per secoli e dopo secoli sperimenta non già una transizione di genere (oggi sarebbe più corretto dire “procedimento di rettifica”), ma un vero e proprio cambio di sesso spontaneo.
Protagonisti del film erano Quentin Crisp e Tilda Swinton. E voi pensate che Sally Potter abbia affidato il ruolo di Orlando al primo e quello di Elisabetta alla seconda? Dovete ricredervi: fu l’esatto opposto. Più di 25 anni dopo, per tornare a quell’uomo ultracentenario, Luca Guadagnino vorrà Tilda Swinton nel suo rifacimento di Suspiria per ben tre ruoli, il terzo dei quali è il Dottor Josef Klemperer e lei accreditata come Lutz Ebersdorf.
Linda Hunt è attrice bravissima, dal physique du rôle apparentemente molto specifico, ma in realtà estremamente eclettico. Negli ultimi anni, molti l’avranno conosciuta per il ruolo della Direttrice Henrietta Lange nel fortunato spinoff losangelino di NCIS. A molti altri ancora, il suo nome dirà poco. Ma già nel 1982 e solamente al suo secondo film, Linda Hunt vince già un Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista. Interpretando un uomo.
Il film è Un anno vissuto pericolosamente di Peter Weir. Un film bellissimo, durissimo e potentissimo – quasi un’estensione tardiva di una New Hollywood tramontata l’anno prima – che aprirà idealmente a un filone di pellicole simili, fra giornalisti di guerra e golpe militari in epoca di Guerra Fredda, nel cui solco rientrano titoli come Sotto tiro (1983) con Nick Nolte e Salvador (1986) di Oliver Stone.
Qui ci troviamo in Indonesia in concomitanza col rovesciamento del Presidente Sukarno. Mel Gibson è un giovanissimo giornalista inviato senza preparazione nel mezzo del disastro. Il film è di fatto un romance-drammatico e mette in scena una storia d’amore con Sigourney Weaver, in un crescendo di tensione politica. Linda Hunt interpreta Billy, operosissimo fotografo e cameraman che assiste il protagonista Guy. Un ometto sveltissimo e dai mille contatti e intrallazzi, la personificazione vivente dell’uomo pieno di risorse, del caddie indispensabile in contesti di guerra.