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Mostra del Cinema di Venezia
Prima di Vermiglio: 5 grandi film Lucky Red premiati a Venezia

Leone d’Argento – Gran premio della giuria al Festival di Venezia, Vermiglio è l’ultimo di una serie di grandi premiati distribuiti Lucky Red.

Di Carlo Giuliano*

Vermiglio della regista Maura Delpero si è portato a casa uno dei premi più importanti dall’appena conclusa Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Si tratta del Leone d’Argento assegnato per il Gran Premio della Giuria. Ma non è un premio a fare la bellezza di un film, semmai l’opposto. 

Perché il secondo lungometraggio di finzione di Maura Delpero è un’opera più che matura, nei temi e soprattutto nel linguaggio registico scelto per raccontarli. Una storia d’Italia che parte da un paesino del Trentino nel 1944, a Seconda Guerra Mondiale in corso, per arrivare un anno dopo all’estremo opposto, nella Sicilia dell’immediato dopoguerra. È la storia di Cesare (Tommaso Ragno) e delle sue tante figlie. E di come una di queste incontri un soldato sospettato di diserzione di nome Pietro, e finisca per sposarlo. Ma anche di come Pietro, in Sicilia, nasconda uno scomodo segreto lì pronto ad aspettarli.

Da quasi quarant’anni, Lucky Red distribuisce film di grandi autori premiati in alcuni dei festival e dei palcoscenici più importanti al mondo, un palmarès che comprende fra gli altri 43 premi dal Festival di Cannes, 30 Academy Awards, 43 David di Donatello e 24 riconoscimenti dalla Mostra d’Arte Cinematografica. Fra questi, diversi Leoni d’Oro – fra cui Magdalene e Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza – e molti altri premi principali, dalla regia alle interpretazioni – Cous Cous, Van Gogh, Il buco e molti altri. Vermiglio entra quindi a pieno titolo in questo grande palmarès e per l’occasione abbiamo voluto raccogliere una lista di 5 film distribuiti in passato da Lucky Red e premiati in quel di Venezia. Ce n’è per tutti i gusti (più uno, Vermiglio). 

The Wrestler (2008) di Darren Aronofsky

Partiamo da uno dei famosi Leoni d’Oro con The Wrestler nel 2008, uno dei film più acclamati di quell’anno e di tutti gli anni 2000. Protagonista assoluto è Mickey Rourke in uno dei ruoli più materici, autodistruttivi e, a ben guardare, dichiaratamente autobiografici di tutta la sua carriera. Interpreta l’ex wrestler professionista Randy “The Ram” Robinson, che dopo una delle carriere più travolgenti del wrestling si trova ora caduto in disgrazia, distrutto nel fisico dagli incontri e dalla pesante assunzione di sostanze stupefacenti; nel cuore, dal rapporto emaciato con sua figlia e dalla vergogna di esibirsi in piccole bettole per racimolare pochi spiccioli. Tenterà di iniziare una nuova vita, ma i rifiuti e le ricadute lo condurranno a un ultimo incontro dagli esiti inevitabili.

 

La scelta del protagonista fu coraggiosa, tanto quella di Mickey Rourke di accettarla. Perché per questo ruolo estremamente “fisico” e in cui il corpo è tutto – alcuni si sono spinti addirittura, per amore di estremizzazione, a definirlo un body horror – Aronofsky voleva un attore la cui storia personale ricalcasse quella di Randy. E Mickey Rourke non si limitò ad accettare, ma mise tutti i drammi vissuti in vita, lo stesso suo decadimento fisico, in quel ruolo. Chiese addirittura all’amico di vecchia data Bruce Spingsteen di comporre una canzone (The Wrestler, poi premiata ai Golden Globes) che fosse via di mezzo fra la storia personale di Randy e quella di Rourke stesso. Lui e la coprotagonista Marisa Tomei avrebbero guadagnato due candidature agli Oscar per le loro interpretazioni. 

Il ritorno (2003) di Andrej Zvjagincev

Magari è la prima volta che sentite parlare di questo film, o magari siete tra i fortunati che lo videro, vent’anni fa ormai, in sala. Ma quando un anonimo regista russo di nome Andrej Zvjagincev vinse uno dei più importanti riconoscimenti cinematografici a livello mondiale; quando un’opera prima fra road movie e coming-of-age si portò a casa il Leone d’Oro; ecco per molti fu uno stupore immenso, e a ragione. Ma la bellezza de Il ritorno reggeva il confronto del riconoscimento ricevuto. Un film dai colori, dalla fotografia e di un minimalismo d’immagine che affondava le radici nel cinema di un altro Andrej (Tarkosvkij), riutilizzandole per parlare di rapporti familiari mai sanati.

Vanja e Andrej sono due fratelli legatissimi, uniti dall’assenza del padre che non hanno mai avuto. Quando dodici anni dopo quel misterioso padre ritorna, i tre si imbarcano in un viaggio in direzione di un lago, per andare a pesca. Ma la diffidenza e l’astio nei confronti del padre porteranno a un’escalation di odio e inaspettata violenza, conducendo a un finale scioccante che farà rimettere in discussione tutto quanto abbiamo visto. Quell’anno a Venezia, il russo esordiente Zvjagincev batté autori del calibro di Alejandro González Iñárritu, Amos Gitai, Marco Bellocchio, Margarethe von Trotta e Takeshi Kitano. E oltre al Leone d’Oro al Miglior Film si portò a casa anche il Leone del futuro – Premio Venezia opera prima “Luigi De Laurentiis”, doppietta più unica che rara (per ovvie ragioni) nella storia della Mostra. 

Mare dentro (2004) di Alejandro Amenábar

Chiudiamo questo primo trittico con Mare dentro di Alejandro Amenábar, che oltre al Leone d’Oro vinse anche la Coppa Volpi andata all’incredibile interpretazione maschile di Javier Bardem (e l’anno dopo, ai premi cinematografici spagnoli, ben 14 Premi Goya). Mare dentro è uno dei più coraggiosi manifesti in favore del diritto all’eutanasia, attraverso la storia vera di Ramón Sampedro, scrittore tetraplegico costretto all’immobilità dopo un tuffo sugli scogli. Dopo 25 anni in quelle condizioni, Sampedro si decise ad avviare una battaglia legale contro il governo spagnolo per l’introduzione di una legge sull’eutanasia. Ad affiancarlo, un’avvocata affetta da una malattia neurodegenerativa, che quindi ne condivide la missione.

Mare dentro è uno dei più grandi esempi di come rassegnazione e abnegazione possano convivere in una stessa persona e in uno stesso film, di come possano essere addirittura sinonimi. A enucleare questo concetto, una scena di rara potenza in cui un prete (anche lui tetraplegico ma contro l’eutanasia) va a parlare con Ramón per farlo desistere dai suoi propositi. Il suo argomento è il seguente: “Una libertà che elimina la vita non è una libertà”. Cui Ramón controbatte, fornendo a sua volta il migliore argomento in favore dell’eutanasia: “Una vita che elimina la libertà non è vita”. Mare dentro è la dimostrazione che dai film abbiamo solo da imparare ma che la strada di questo apprendimento sembra ancora lunga purtroppo. Quantomeno ci pensò Venezia, a riconoscergli quei due premi che, in coppia, non furono mai così giusti.

The Master (2012) di Paul Thomas Anderson

Certe volte – parlo per i non addetti ai lavori quantomeno – si tende a scordare che Lucky Red abbia distribuito in Italia persino Paul Thomas Anderson, vale a dire uno dei cineasti americani più importanti degli ultimi vent’anni. Dalla 69esima edizione della Mostra di Venezia, The Master non si portò a casa il Leone d’Oro, ma di Anderson fu il Leone d’Argento per la Miglior Regia e dei protagonisti Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman fu (ex aequo) la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Sempre se non siete addetti ai lavori, sappiate che le doppiette, soprattutto nei premi principali, sono cosa ormai rara a Venezia.

Ma in realtà The Master ottenne anche un terzo riconoscimento, il Premio FIPRESCI assegnato dalla stampa cinematografica italiana in sostegno delle opere più “rischiose, originali e personali”. Perché The Master era un film visionario, nato dai pezzi di molte idee avute da Paul Thomas Anderson negli anni: da scene mai utilizzate de Il Petroliere, ai racconti dell’attore Jason Robards (C’era una volta il West) sui suoi giorni in Marina durante la guerra, alla vita di John Steinbeck. Ma al centro di tutto ci sono ovviamente il fondatore di Scientology, L. Ron Hubbard (Hoffman), e un disturbato reduce (Phoenix) preso a esempio di quanto i ciarlatani carismatici possano avere influenza sugli elementi più fragili e spersi delle nostre società. Le interpretazioni dei due furono incredibili, una recitazione all’unisono che li rese tutt’uno e di cui, infatti, la Coppa Volpi in ex aequo fu testimone. 

È stata la mano di Dio (2021) di Paolo Sorrentino

Come potevamo chiudere questa lista senza È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, che solo tre anni fa ottenne il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria (lo stesso andato quest’anno a Vermiglio) e il Premio Marcello Mastroianni al protagonista Filippo Scotti, assegnato ogni anno ai migliori attori o attrici emergenti. Quando poi il film uscì al cinema, a tutti noi apparve chiaro, soprattutto ai fan di Paolo Sorrentino fin dalla prima ora, che quello era il film che aveva bisogno di girare da tutta una vita. Perché segna il suo ritorno nella sua Napoli, ma è anche ovviamente un ricordo doloroso, quella ferita prima che – Sorrentino non ne ha mai fatto mistero – l’ha accompagnato in tutta la sua vita e nel suo mestiere di autore: la perdita dei suoi genitori.

Ma sullo sfondo dell’elaborazione del lutto si districa innanzitutto un racconto familiare fatto di spensieratezza e ricordi felici, dell’amore per il cinema e dei provini da Fellini, dell’amore per Napoli e per il Napoli di Diego Armando Maradona, “la mano de D1OS” che letteralmente gli salvò la vita, trattenendolo in città per veder giocare il calciatore al posto di raggiungere i genitori nella piccola casetta con la stufa difettosa. Fabietto Schisa è stato l’alter ego più prossimo di Paolo Sorrentino e la sua, la loro storia spiega tutta la perdita che uno dei migliori registi del cinema italiano avrebbe riempito col cinema. Per capirlo basta una scena, rimasta stampata nella memoria di tutti: c’è un prima e dopo Capuano, c’è un prima e dopo “non disunirti”.

Nel 2021 fu la mano di Dio, tre anni dopo è stata la mano di Maura Delpero a portarsi a casa il Leone d’Argento. Venezia l’ha premiata come meritava e ora sta a voi fare altrettanto. Andando a vedere Vermiglio, già da ora, al cinema.

 

*Nato a Roma nel 1999, critico cinematografico e creator passato per web, cartaceo, social media, televisione, radio e podcast. La prima esperienza a 15 anni come membro di giuria per la XII Edizione di Alice nella Città. Dal 2019 si forma presso il mensile cartaceo Scomodo, di cui coordina anche la rete distributiva in tutta Italia. Nel 2022 svolge un master in podcasting presso Chora Media, cicli di lezioni nei licei con il Museo MAXXI ed è il vincitore del Premio CAT per la critica cinematografica. Ha collaborato con le pagine del Goethe-Institut e del Sindacato Pensionati CGIL. Dal 2021 scrive stabilmente per CiakClub, di cui è Caporedattore e principale creator.
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