In occasione dell’arrivo in sala del film Stanlio & Ollio di Jon S. Baird, ripercorriamo questo fenomeno senza tempo nell’articolo a cura di Anna Maria Pasetti (Associazione Culturale Red Shoes).
Guardo gli asini
che volano nel ciel
ma le papere sulle nuvole
si divertono
a fare i cigni nel ruscel
Da “A zonzo” dal film I diavoli volanti (1939)
Fra storia e leggenda, il duo Stanlio & Ollio ha creato un fenomeno entrato nel mito senza precedenti, almeno per quanto riguarda la definizione di coppia comica. Con 106 film insieme fra lunghi, corti, muti e sonori e numerosi spettacoli teatrali (riproposti poi in tv nelle mitiche “strisce”) in circa 30 anni di carriera condivisa (1927–1954), Laurel e Hardy hanno divertito e continuano a divertire generazioni di spettatori di ogni cultura, nazionalità e lingua. Ma cosa c’è dietro a un tale successo? In altre parole, esiste un segreto che ha reso inimitabili ed eterni questi due artisti relegandoli all’immaginario collettivo?
Il loro modello di comicità, in realtà, ha uno schema piuttosto semplice e riprende la cosiddetta slapstick comedy [letteralmente, commedia col bastone per colpire] divenuta celebre grazie al cinema muto e basata sull’esagerazione del linguaggio del corpo con effetti grotteschi di derivazione dalla Commedia dell’Arte. Se in tal senso l’icona comica cinematografica per eccellenza è Charlot (Charlie Chaplin), Stanlio & Ollio rappresentano quella a due, un “doppio passo” perfettamente funzionante fra il comico puro (Stanlio) e la spalla (Ollio).
I due, opposti (uno magrissimo e l’altro ciccione) e uguali (vestiti solitamente in maniera simile, inclusa la celebre bombetta), si palleggiano smorfie e sberleffi, con Ollio generalmente nel ruolo del control freak, ma solo in apparenza: con lo sguardo verso l’obiettivo (cioè verso gli spettatori di cui cerca la complicità), Hardy allude alla stupidità di Stanlio (“sei proprio stupìdo, Stanlio”) ma è Laurel – alla fine – a prendersi la scena nel suo modo surrealistico di trovare la soluzione ai problemi. Ollio ne esce naturalmente arrabbiato esplodendo nel suo leggendario “oooooooh” e agitandosi imbarazzato con l’inconfondibile voce di un giovane Alberto Sordi, almeno nel doppiaggio italiano.
Irresistibili anche dopo diverse visioni, i loro sketch per quanto elementari e ripetuti in modo pressoché identico, riescono ancora a strappare una risata. È il caso della “situazione” creatasi nel mediometraggio Blueboy, un cavallo per un quadro in cui la coppia s’impegna anima e corpo per gestire un cavallo “accomodato” sopra un pianoforte.
Blueboy, un cavallo per un quadro (Wrong again, 1929) regia di Leo McCarey
Se nel 1927 nacque ufficialmente il marchio “Stanlio & Ollio” l’amicizia fra Stan e Babe (il soprannome privato di Hardy) risale all’anno precedente ed è, forse, il vero motore dell’incredibile successo. Nata su un set e un po’ per caso, è quanto ha reso possibile il perdurare della carriera dei due artisti anche nei momenti più difficili, quando Hollywood puntava su altri generi e personaggi. In tal senso il film di Jon S. Baird va diretto al cuore del discorso, ponendo il profondo sentimento amicale quale il segreto del duo. Al punto che Stanlio rifiutò di continuare a lavorare dopo la morte di Ollio avvenuta nel 1957.
La chimica fra i due nasceva da qualcosa d’intangibile che superava – forse – la loro stessa consapevolezza, un dono di eterna giovinezza da parte dell’Arte della Risata generosamente consegnato agli spettatori di ogni tempo e geografia.