Continua il nostro viaggio alla scoperta di Zlatan ibrahimović, in attesa del film di Jens Sjögren dall’11 novembre #SOLOALCINEMA
Di Nicholas David Altea
Se vi chiedessero quale caratteristica descrive perfettamente Zlatan Ibrahimovic, una tra le più quotate sarebbe certamente la parola “sicurezza”; volendo possiamo tradurla anche in “autostima”, ai massimi livelli nel caso suo, sia chiaro. E ce ne vuole tanta di quella sicurezza e di quell’autostima di cui parliamo quando sei trattato da diverso solamente per le tue origini perché figlio di immigrati slavi, oppure perché non sei nel giro giusto o semplicemente non vieni adeguatamente compreso.
Può sembrare arroganza esagerata ma questo atteggiamento funziona un po’ come quando gli anticorpi sono pronti a reagire al minimo pericolo. Parte tutto dalla profonda fiducia nelle proprie capacità, dalla voglia di emergere e dalla fatica nel raggiungere i propri obiettivi, o semplicemente, i propri sogni, quelli di un bambino di Rosengård con tanti idoli nella testa.
Nei campetti Zlatan fa già tanti gol, la fiducia nei suoi mezzi è altissima, e perfino quando per la prima volta incontra a lezione di serbo-croato il nuovo amico Tony Flygare, si proporrà di giocare nell’FBF Balkan con non poca spocchia, sorridendo e affermando:
“Forse avete bisogno di me”
Ovviamente sul campo sa cosa può fare, come quando, arrivato in ritardo alla partita, si ritrova in panchina per tutto il primo tempo. Lui vuole entrare, glielo dice in faccia al mister. Sa che può risolverla dato che il Balkan era sotto di quattro reti con il Vellinge, squadra di figli di papà tutti perfettini. Il mister cede, Zlatan entra e vinceranno la partita 8-5. Quanti gol farà il giovane Ibra? Avete davvero dei dubbi? Otto.
Più Ibrahimovic cresce e più aumentano le sue certezze ma anche l’interessamento dei grandi club. Ormai è un nome di punta del Malmö quando con Hasse Borg – storico difensore della nazionale svedese e direttore sportivo del club – vengono ricevuti da Arsène Wenger, primo allenatore non inglese dell’Arsenal che già al secondo anno aveva raggiunto il famoso double vincendo Premiership ed FA Cup. Tutta la società londinese era ai suoi piedi. Si parla di provini e test sul campo per il talento del Malmö.
Hasse Borg non è assolutamente d’accordo, secondo lui Ibrahimovic non deve fare provini, sarebbe come svalutarlo. Per una volta era Zlatan che imparava da qualcuno come farsi valere. “Ci spiace Mr Wenger, non siamo interessati”, si congeda Hasse Borg. Salutarono e se ne andarono. E come dimenticare l’arrivo nello spogliatoio dell’Ajax di un appena ventenne Ibra: “Io sono Zlatan. Voi chi cazzo siete?”.
La sua sicurezza non è fine a se stessa, è un qualcosa che è capace di trasmettere facendo crescere giovani e meno giovani. Non c’è calciatore che allenandosi assieme allo svedese non aumenti il rendimento e non dia il 110% nel rettangolo verde. Non è ammissibile il contrario, basta uno sguardo o una parola di Zlatan, anche se è fuori dal campo: tutto cambia, tutti crescono, tutti migliorano. Un additivo naturale che fa funzionare meglio una squadra.
Non pensate però che questi comportamenti funzionino solo “coi grandi”. C’è un episodio quando lui giocava nella Major League Soccer, capitato nel tunnel di LA Galaxy – Houston Dynamo (che finì 2-1 con una sua rete) prima di entrare in campo. Affianco al gigante di Rosengård c’è un bambino che tiene per mano. Le classiche giovanissime mascotte che entrano con le squadre: il sogno di ogni piccolo appassionato football o soccer. Il calciatore lo guarda e il bimbo ammette di essere nervoso, lui gli dice poche semplici parole: “Impossibile, sei con me ora”, e gli dà il gagliardetto aggiungendo “Andiamo insieme!”.
E poi un’altra piccola perla di saggezza: “Devi goderti il momento. Goditela”. Il video diventa popolare, e la mamma del giovane calciatore racconterà: “Mio figlio era un po’ ansioso perché suo nonno era morto di recente, quel giorno era nervoso di stare vicino a Ibrahimovic. Quel giorno l’LA Galaxy e Zlatan hanno realizzato il suo sogno”. Che tu sia grande e affermato, o piccolo e insicuro, tutti abbiamo bisogno di Zlatan.
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Nicholas David Altea è giornalista, social media manager, web editor e direttore artistico.
Scrive per Wired Italia e Rumore. È social media editor di entrambe le testate ed è responsabile dei contenuti del sito Rumoremag.com.