Onorare il lavoro, difendere i diritti dei lavoratori: il 1 maggio in tutto il mondo ha questo significato. Ripercorriamo i film che hanno raccontato il lavoro facendoci riflettere, emozionare e a volte anche sorridere.
La società cambia, muta vorticosamente e spesso travolge i più deboli. A far sentire la loro voce c’è da sempre Ken Loach, il più militante dei registi. Il suo sguardo, profondo e umano, è costantemente rivolto a chi deve lottare ogni giorno per la propria dignità e punta i riflettori sui cambiamenti sociali.
Durante la lavorazione di Io, Daniel Blake (Palma d’oro a Cannes) il regista inglese inizia a riflettere sull’avanzare della gig economy e sulle conseguenze spesso tragiche della precarietà, dal punto di vista economico ma anche da quello dei rapporti umani.
La riflessione diventa analisi, l’analisi studio sul campo: per raccontare la storia di Ricky – diventato corriere per una ditta in franchise per sopravvivere alla crisi finanziaria del 2008 – e della sua famiglia in Sorry We Missed You, Ken Loach – come di consueto insieme a Paul Laverty – incontra autisti e magazzinieri. Si addentrano nei gangli di un sistema spietato che vediamo tutti i giorni in azione, ma che preferiamo ignorare.
Il risultato è un film che apre gli occhi e squarcia il velo di omissioni e indifferenza di un mondo che ci vede sempre più connessi, eppure sempre più distanti.
Lo spettro della disoccupazione si aggira da decenni nella vecchia Europa. Nel 2002 lo racconta il regista spagnolo Fernando León de Aranoa in un film strepitoso: I lunedì al sole.
Un gruppo di operai, amici da una vita, si ritrova disoccupato dopo la dismissione dei cantieri navali. I giorni della settimana scorrono, uno uguale altro, al sole, tra speranze, sogni, progetti e ricordi.
Il ritratto agrodolce delle loro vite si trasforma in un piccolo capolavoro, trionfatore ai Premi Goya con 5 statuette: tra queste c’è anche quella per miglior attore a Javier Bardem, che reciterà di nuovo per il regista madrileno 15 anni dopo in Escobar – Il fascino del male.
Se la lotta per il riconoscimento dei propri diritti sul lavoro continua a essere aspra, per qualcuno è ancora più dura: le donne si scontrano quotidianamente con ostacoli apparentemente insormontabili, dal “soffitto di cristallo” che ne blocca la carriera alla disparità nei salari, fino al dramma delle molestie.
Una storia di battaglie che parte da lontano: è il 1968 quando 187 operaie della fabbrica Ford di Dagenham decidono di scioperare – la loro è la prima manifestazione interamente al femminile – contro una discriminazione salariale e non solo, divenuta insostenibile. La loro lotta è al centro di We Want Sex: il film di Nigel Cole, interpretata da Sally Hawkins e Rosamund Pike, capace di raccontare questa rivendicazione così importante facendoci sorridere e riflettere.
Dall’Inghilterra a New York con una storia molto diversa: Maya (Jennifer Lopez) ha 40 anni, vive nel Queens e lavora da 15 anni in un grande centro commerciale.
Anche la protagonista della travolgente commedia Ricomincio da me sa bene cosa significa vedersi preferire un uomo quando si tratta di un avanzamento di carriera… ma l’ennesima promozione mancata darà il via a un cambiamento radicale, che la porterà tra i grattacieli di Manhattan all’inseguimento dei suoi sogni.
Stravolgiamo il titolo del capolavoro che fece innamorare l’Italia di Silvana Mangano (e conoscere il canto delle mondine), per parlare di due film dove commedia e dramma si incontrano.
Con uno straordinario Nino Manfredi, il regista Franco Brusati racconta con toni grotteschi la vita agra degli immigrati italiani in Svizzera. Nino Garofoli – il protagonista di Pane e Cioccolata – è pronto a tutto pur di integrarsi e lavorare, anche se la sorte sembra essergli sempre più avversa. In un mondo ostile, dove tanti immigrati come lui – umiliati e offesi – vivono nelle condizioni più degradanti, Nino non si rassegna alla povertà e continuerà a lottare per conciliare lavoro e dignità.
Premiato al Festival di Berlino e vincitore di tre David di Donatello, il film è considerato da molti un capolavoro di umorismo, malinconia, pietà, satira.
Si ride con l’amaro in bocca anche con Il Grande Capo, di Lars von Trier. Si ride, ma con ghigno crudele, del proprietario di un’azienda di informatica che ha deciso di vendere.
C’è infatti un problema: sin dall’inizio il proprietario ha inventato un finto capo, dietro il quale nascondersi in caso di decisioni impopolari… ed è proprio con il Grande Capo che gli acquirenti vogliono negoziare!
Ridere, sorridere, riflettere… indignarsi, combattere. Il cinema serve anche a questo. E – proprio come il lavoro – nobilita l’uomo.