Aspettandolo dal 12 settembre al cinema, Kristen Stewart racconta Love Lies Bleeding, il film di Rose Glass in cui interpreta la protagonista Lou.
“Ho sempre avuto una sorta di avversione per l’esibizione di forza per ragioni puramente estetiche, e non sono mai riuscita a relazionarmi con persone che frequentano la palestra per provare a diventare il più sexy possibile. Semplicemente è qualcosa che non mi ha mai attratto veramente. Però è capitato anche a me di allenarmi, e capisco che a un certo punto tutto questo produce un livello tale di endorfine da diventare una droga”. Kristen Stewart, 34 anni, trasformatasi da idolo dei teenager con la saga di Twilight all’attrice matura di film come Sils Maria, Personal Shopper e Spencer descrive così il proprio rapporto con le palestre e il proprio sguardo su chi si gonfia i muscoli a livello ipertrofico. Il motivo non è casuale, ma fa riferimento al suo ultimo film, Love Lies Bleeding, presentato al Sundance e al festival di Berlino, e ora in uscita il 12 settembre nelle sale, e già definito “un brillante neo-noir sul bodybuilding” dal Guardian.
Nella pellicola della britannica Rose Glass, già debuttante con il cult horror Saint Maud, Stewart è Lou, la manager e addetta alla manutenzione di una palestra in New Mexico, dove un giorno arriva Jackie (Katy O’Brian), una culturista con un passato oscuro che intende prepararsi per una gara a Las Vegas. La donna, che ha bisogno di soldi per mantenersi, finisce per andare a lavorare al poligono di tiro di Lou Sr. (Ed Harris), il padre di Lou, che ha una lunga storia di omicidi alle spalle e da cui la figlia vorrebbe stare alla larga. Alla ricerca di steroidi per potenziare i muscoli, Jackie chiede aiuto a Lou, e dopo un’iniezione, le due finiscono a letto insieme e iniziano una relazione ossessiva che porterà per entrambe una serie di guai. “Naturalmente c’è un messaggio positivo in questo film”, dice Stewart “perché è bello esplorare e conoscere la propria forza e abitare ogni centimetro del proprio corpo. La mia Lou però è qualcuno che cerca di occupare il minor spazio possibile, finché questa donna sfacciata e audace entra nella sua vita e le insegna a non vergognarsi di sé. E così nasce un amore che è bello ma al tempo stesso pieno di cose disgustose e orribili”.
Ha detto che Lou vorrebbe quasi scomparire. È per questo che sfoggia quel taglio di capelli così trasandato?
Lei trova che lo sia?
Beh, direi di sì. Sembra quello di una persona che non si prende cura di sé.
Invece io l’ho inteso in modo totalmente diverso, è un look che lei ha ricercato accuratamente. Quando Lou viveva con suo padre, ed era immersa nella violenza di quella vita, era tutta perfettina, sembrava quasi Bella Swan, il personaggio di Twilight. E per questo a un certo punto cerca di allontanarsene, di diventare qualcos’altro, vuole un look alternativo. Pensi che mi piaceva talmente tanto che l’ho tenuto anche finite le riprese.
Il film parla di un’America dove c’è il culto delle armi, dove si va a sparare per divertimento.
Lei ha mai sparato in un poligono?
No, in Europa non sono così diffusi.
Io detesto tenere in mano una pistola e sparare. Però dobbiamo ammettere che gli esseri umani sono intrinsecamente violenti, è così che abbiamo conquistato questo pianeta. E la nostra Storia è fatta di persone che si uniscono in comunità e poi si scannano. Se poi parliamo dell’America è un posto orribile, spaventoso.
Che ne pensa della rappresentazione della violenza al cinema?
Credo che dipenda sempre da come viene raccontata. Qui gli spettatori si identificano con Lou quando esplode la violenza, in qualche modo la giustificano, perché stanno dalla sua parte. Pur senza arrivare agli estremi del film, tutti siamo pronti a dare il peggio di noi quando vogliamo preservare ciò che abbiamo, i nostri privilegi. Però qui la violenza è usata in maniera provocatoria, è quasi un incubo fantasy, e questo non fa che rivelarne l’assurdità. Perché la violenza nella realtà non fa mai ridere, mentre qui è talmente oltraggiosa in alcuni momenti che è difficile non lasciarsi scappare una risata.
Qual è stata la parte più difficile per prepararsi a questo ruolo?
Fumare, perché Lou è una ciminiera, accende una sigaretta dopo l’altra. Per cui quando dovevamo fare dieci ciak era un incubo, in certi momenti mi sentivo morire. Per fortuna quando arriva Jackie abbandona le sigarette, altrimenti non so se ce l’avrei fatta.
Nel film Lou passa molto tempo a pulire…
Spesso ha le mani immerse nel sapone e cerca di rimediare a pasticci creati da altre persone. Credo che sia il proprio modo di affrontare i traumi, di dimostrare a se stessa che può essere una brava persona, che può risolvere le cose anche quando non le ha provocate, perché in fondo credo che abbia una gran paura di essere come suo padre.
La pellicola racconta una storia d’amore tra due donne molto diverse l’una dall’altra. Come ci avete lavorato?
Io e Katy ci siamo incontrate e abbiamo passato un po’ di tempo a rivedere insieme la sceneggiatura, che era molto stimolante. Ma ci siamo rese subito conto che ne davamo un’interpretazione diametralmente opposta. E credo che questa sia diventata la chiave per creare i nostri personaggi, perché Lou e Jackie proiettano loro stesse nell’altra persona, senza mai conoscersi completamente, ma diventando ossessionate da questo rapporto. Perciò anziché cercare di essere sulla stessa lunghezza d’onda, io e Katy abbiamo cercato di fare emergere questo attrito, per sprigionarne l’energia in scena.
Lo spirito queer qui è talmente insito nella storia da non trasformare Love Lies Bleeding in un film manifesto.
Ho provato un enorme sollievo in questo, perché è bello interpretare un personaggio queer che non deve a tutti i costi trasformare il proprio modo di essere in una lezione per gli altri. Trovo che questo serva ad allargare la prospettiva degli spettatori senza voler loro insegnare qualcosa. Certo non è facile avere storie del genere perché il cinema è pur sempre un’industria che mira agli incassi, e quindi deve seguire strade più battute, che hanno già avuto successo. Però penso sia importante ogni tanto distaccarsi da storie già viste mille volte e provare qualcosa di originale, anche nel raccontare una relazione amorosa.
Ed Harris è un villain clamoroso nel film. Com’è stato lavorare con lui?
Lui è fantastico, è un Marlboro Man (personaggio immaginario di uomo rude creato per la pubblicità delle sigarette negli anni ‘50, ndr.) ma poetico e pieno di sentimento. È un vero figo, un uomo mascolino, ma al tempo stesso sexy e gentile. Devo dargli un gran credito di aver girato il film anche se non era convinto del ruolo e della sceneggiatura. Si è fidato di Rose e di me, e alla fine dopo averlo visto, mi ha chiamato e mi ha detto: non credevo che una cosa così strampalata potesse dar vita a un vero capolavoro!