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La casa degli sguardi: l’esordio alla regia di Luca Zingaretti presentato alla Festa del Cinema di Roma

La casa degli sguardi segna l’esordio alla regia di Luca Zingaretti, che lo ha presentato alla Festa del Cinema di Roma insieme al protagonista Gianmarco Franchini.

Di Letizia Rogolino*

In anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024 nella sezione Grand Public è stato presentato il film La Casa degli Sguardi che segna l’esordio ufficiale alla regia di Luca Zingaretti. “Non ho mai deciso di fare una regia, ma era un desiderio che avevo da tanto tempo. Sui set negli anni ho cominciato a vedere le cose in modo diverso, anche grazie ad alcuni registi che mi hanno chiesto di collaborare. Poi io appartengo a una generazione che le cose prima di farle, vuole essere in grado di farle bene. Quindi quando ho incontrato la storia di Mencarelli mi si è accesa una luce” ha detto in conferenza stampa. 

Accogliere il dolore

Il film infatti è ispirato al romanzo omonimo di Daniele Mencarelli – edito da Mondadori – e segue Marco, un ragazzo di 21 anni molto empatico e sensibile che scrive poesie e combatte con le dipendenze per fuggire al dolore della vita. Beve tanto, usa droghe ed è incapace di “stare” nelle cose quando è lucido. La madre non c’è più, il padre cerca di aiutarlo, e la fidanzata, come gli amici, si è allontanata da lui per paura. “Il protagonista del film ha 21 anni, ha vissuto questo, oltre alla dipartita della mamma, e tutto genera il mal di vita. Vive tutto in modo esagerato per la sua sensibilità. Ha bisogno di anestetizzarsi per vivere, ma dopo scopre che il dolore non è evitabile, ma si deve accogliere. Bisogna riacquistare la capacità di stare nelle cose e non di fuggirne, una capacità ormai perduta”.

“Il libro raccontava cose che mi appartengono e mi permetteva di fare un discorso più ampio su temi che mi stanno a cuore. Ho pensato che forse era una storia che sapevo raccontare” ha detto Zingaretti, aggiungendo che ha deciso di dirigere questo film perchè lo ha colpito la storia che “narra la rinascita di una persona, la capacità di rialzarsi e avviarsi verso quella minuscola luce che segna l’uscita dal tunnel. Racconta anche la capacità della vita di sorprenderci sempre, la gestione del dolore in una società come la nostra in cui è finalizzato tutto alla prestazione, dimenticando che il dolore ha la capacità della catarsi. Poi l’importanza dell’amicizia, di un amore che ti rispecchia e ti senti percepito e ti dai la possibilità di esistere”. 

Un giovane che vive le inquietudini di oggi” è il protagonista interpretato da un intenso Gianmarco Franchini. Il mondo è cambiato molto velocemente ed è difficile trovare punti di riferimento. Il giovane attore ha spiegato in conferenza stampa cosa lo ha conquistato di questo ruolo fin dall’inizio: “L’incontro con il personaggio è stato bellissimo, per il provino con sole venti righe di sceneggiatura mi sono appassionato alla sua storia. Leggendo poi il libro la passione è aumentata e quando ho scoperto di essere io il prescelto è arrivata anche la paura e l’inquietudine perchè pensando di dover vivere io quelle cose avevo paura.

Marco ha un suo modo di vedere il mondo, di sentire le emozioni, è una persona con una sensibilità tale che ha una pelle talmente sottile che basta un fiore a bucargliela. Ho avuto molto tempo per studiarlo, è stato anche faticoso perchè andava in luoghi molto bui e in altri molto accesi. L’ho immaginato come un’anima pura da proteggere, cerca di proteggere se stesso con un modo di relazionarsi al mondo distaccato e scontroso”. 

Il desiderio di essere visti

Zingaretti, essendo in primo luogo un attore, ha lavorato molto bene con il cast, creando una sinergia naturale e costruttiva, come ha confermato Franchini. “Io sono un regista che ascolta tutti, penso che fare un film sia un lavoro di gruppo” ha sottolineato Zingaretti, analizzando poi il cuore del film, ovvero quella sensazione di depressione e insicurezza che travolge il protagonista negli anni dell’adolescenza.

“Durante l’adolescenza un giovane si trova a costruire un individuo che uscirà fuori dal bozzolo e deve ribellarsi allo status quo, tirare fuori il desiderio di essere visto e di essere percepito quindi l’inquietudine e il disagio per antonomasia sono qualcosa che deve appartenere alla gioventù, a un determinato periodo della nostra esistenza. Poi quel sentimento può essere reso drammatico dal periodo in cui si sta vivendo. Oggi, per esempio, noi non facciamo i conti con il fatto che negli ultimi tempi l’innovazione tecnologica è stata talmente veloce che non siamo riusciti, né come politica né come filosofia a stare dietro a questa novità. Inoltre c’è un’emergenza climatica che non vogliamo vedere, sta per succedere un evento migratorio di proporzioni mostruose e tutti i grandi cambiamenti dell’umanità sono sempre iniziati così. Una persona che deve immaginarsi il proprio futuro oggi è spaventata”.

Tuttavia La Casa degli Sguardi è anche un film sul lavoro, come ci tiene a precisare il regista: “Il lavoro non è solo un modo per guadagnare soldi per vivere ma è qualcosa che ti radica, ti identifica. Noi diciamo “io faccio l’attore, io faccio l’idraulico”… ti definisci con cosa fai nella vita che poi è il dramma di chi il lavoro non ce l’ha e si sente perduto, è come trasparente. Uno dei mattoni che Marco usa per costruire una base per rimettersi in piedi è il lavoro. Il potere salvifico del lavoro”. 

 

Giornalista pubblicista, laureata al DAMS, ama il cinema e viaggiare. Scrive di film, serie tv e viaggi per varie testate, coltivando anche un lato social tra Instagram e Youtube. Multitasking e curiosa, lavora in varie forme nel settore della comunicazione. Si rilassa guidando, correndo all’aperto e suonando il banjo, o almeno ci prova.

Foto: Mirko Pizzichini e Gabriele Pallai per Festa del Cinema di Roma

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