Candidato a due premi Oscar, come miglior film e miglior sceneggiatura originale, Past Lives di Celine Song arriva dal 14 febbraio al cinema.
Spesso ci dimentichiamo che al cinema ogni immagine deve avere un’etica e un’estetica. Viviamo nell’epoca dei flussi, dell’ipervelocità, dei bombardamenti da parte dell’audiovisivo. Ma bisogna sapersi anche fermare, per lasciar scorrere la potenza del silenzio, della sintesi. I film più belli hanno una chiave di lettura magari complessa da svelare, nascosta in un’unica inquadratura o sequenza. Nel caso di Past Lives di Celine Song si manifesta in un ricordo, che nella circolarità della storia viene proposto all’inizio e alla fine, con qualche variazione. La protagonista Na Young, che in seguito cambierà il suo nome in Nora Moon, ha dodici anni, abita a Seoul, e il suo unico desiderio è avere successo negli Stati Uniti. Il miglior amico è Hae Sung, un bambino che vorrebbe qualcosa in più di una semplice amicizia. Lei dopo poco si trasferisce in America, lui resta in Corea del Sud.
Il momento del saluto è trattenuto, straziante. È la geometria a fare la differenza. Percorrono una strada stretta, che a un certo punto si biforca. Lei prende le scale, vola verso l’alto, insegue la sua ambizione, il bisogno spasmodico di diventare importante. Lui è un “uomo ordinario”, come confesserà più avanti nel film, e prosegue lungo una strada pianeggiante, senza troppe curve. Una sola battuta, una sola parola, “Ciao”. E poi lo smarrimento nello sguardo, la solitudine. In questa costruzione scenica, propria di gran parte del cinema girato in Corea (un esempio è Parasite), si avverte la presenza di un terzo personaggio fondamentale: il destino.
Past Lives ha una struttura circolare, che si appoggia su scene ben definite. I due “innamorati” sono divisi da una differente visione del futuro. Vorrebbero unirsi, ma sono gli elementi esterni a rendere impossibile il loro incontro. Proviamo a immaginare il destino come un’onda, come suggeriva anche il titolo italiano di un capolavoro di Lars von Trier, Le onde del destino. Si inizia in crescendo, e le vette si raggiungono quando Nora e Hae Sung riescono a interagire. L’incipit è un appuntamento organizzato dalle famiglie, simbolo di una Corea dallo spirito conservatore, che fatica a emanciparsi dalle tradizioni. Poi si sale. L’addio è la cresta della prima onda del destino. La stessa immagine verrà riproposta nell’ultima parte del film, con una luce diversa. La prima volta è giorno, la seconda è il crepuscolo. Non svelo altro, ma questi sono l’alfa e l’omega della nostra analisi.
Stacco. Passa poco più di un decennio, senza comunicazioni. Poi una ricerca sui social, le chiamate da continenti opposti, le mail. Prende vita una nuova onda. Potremmo applicare lo stesso modello a tutto Past Lives, ma lo spoiler sarebbe dietro l’angolo. Sarete voi spettatori a completare il disegno. Cambiamo lo sguardo, torniamo all’unione tra etica ed estetica. Il titolo, come abbiamo detto, è Past Lives ovvero “vite passate”. L’etica è come la regista esordiente si pone davanti alla rappresentazione del bene e del male. L’estetica è come Song delinea la bellezza all’interno del suo film. Il punto di congiunzione è proprio il destino, da una parte benevolo e dall’altra beffardo. È tramite il fato, per alcuni anche chiamato caso o fede, che viene ritratto il quadro amoroso. La bellezza è nel modo in cui viene girata la frattura, la difficoltà nel costruire insieme. Giusto e sbagliato restano invece sospesi, interpretabili a discrezione della platea. L’unica soluzione per aggirare le regole imposte dal destino è ricorrere alle “vite passate”.
In un’altra epoca i due magari si sono amati, separati, odiati per poi riconciliarsi. Questo dialogo avverrà proprio con i protagonisti seduti al bancone di un bar, in cui a far la differenza è ancora una volta la simmetria, il modo in cui i corpi si relazionano con gli spazi. Gli avventori sono tre, ma sembrano essere solo due, del terzo quasi ci si dimentica. Ed è tutto voluto.
Past Lives è un film di luci e ombre, di mancanze, di fantasmi figli di altri secoli. E tutto è veicolato dal destino, che nel suo spirito agrodolce e malinconico ha anche un’anima romantica. Pensiamo alla gita in barca vicino alla Statua della Libertà. È girata con rigore, senza fronzoli, non vuole essere ricattatoria. Ma troverà il suo significato in una battuta successiva fatta dal terzo incomodo: “Io e te non ci siamo mai andati”. Imbarazzo, gli occhi guardano a terra.
Tutta colpa del destino? In parte. Il cinema ama le relazioni incompiute, l’eternità dei sentimenti che si schianta contro la routine di tutti i giorni. Ma la magia è quando quel destino si trasforma in volontà. Un esempio? Il cacciatore, che per chi scrive è stata forse la prima vera folgorazione cinematografica. La roulette è legata alla casualità, come anche l’incontro di De Niro con i cervi. Ma alla fine lui sceglie di non sparare, perché non può più uccidere. Allo stesso modo forse i protagonisti di Past Lives un giorno sceglieranno di condannare un destino feroce per starsi accanto.