Musicista, cantante, conduttore televisivo, uomo di teatro: la storia artistica di Giorgio Gaber attraversa tanti mondi. Mondi tra i quali ci fa viaggiare Riccardo Milani con il docufilm Io, noi e Gaber.
Io, noi e Gaber è un viaggio nel mondo – o meglio, nei mondi – di Giorgio Gaber. Mondi in cui perdersi, e dove ritrovare i ricordi di quell’Italia di cui Gaber ha sempre saputo cogliere, e raccontare, le trasformazioni e le contraddizioni. “È stato un grande musicista, un grande cantante, un conduttore televisivo, un attore, un uomo di teatro inventore di un genere, un artista di impegno civile. Un uomo che ha parlato a tutti e con il quale tutti hanno fatto, e forse devono fare ancora, i conti” ricorda Riccardo Milani, che ha scritto e diretto questo appassionato omaggio, in sala il 6-7-8- novembre, nel ventennale della scomparsa del Signor G.
Pensando oggi a Gaber, forse non è il piccolo schermo il primo luogo dove ce lo figuriamo… lo immaginiamo piuttosto sul palco di un teatro. Eppure è stata proprio la televisione a farlo conoscere agli italiani: a partire dall’apparizione del 1959, in quel fenomenale programma che è Il Musichiere, dove canta Ciao ti dirò. Bastano pochi secondi per essere conosciuto in tutta Italia: ma appunto, è solo l’inizio.
Come ricorda Vincenzo Mollica nel docufilm, da quel juke box uscirono “tre matti veri, tre irregolari: Gaber, Mina e Celentano”; tre ribelli, come si diceva all’epoca, destinati a fare la Storia dello spettacolo. E della TV, dove Gaber canta (a Canzonissima, a Studio Uno, a Teatro 10) e conduce. “Non so più se sono un cantautor-presentatore, o un presentacantautore, o un autopresencantante”: certo è che in tutte e tre le vesti il suo talento e il suo carisma lo rendono un punto di riferimento per il pubblico.
Con Caterina Caselli conduce Diamoci del tu, battezzando il debutto di Francesco Guccini e Franco Battiato. Con Mina è protagonista di pagine memorabili della nostra televisione, condividendo prove rigorose, e una grande amicizia. Ed è con Mina che ha il coraggio di cambiare strada, rinunciando al grande successo televisivo, per iniziare un nuovo meraviglioso percorso. Il recital che li vede protagonisti – Gaber nel primo tempo, Mina nel secondo – segna l’ingresso in un nuovo mondo: il teatro.
Non sarà solo il teatro a cambiare la carriera straordinaria di Gaber: sarà anche Gaber a cambiare il teatro, rivoluzionandolo, insieme a Sandro Luporini, con l’invenzione del Teatro Canzone, piena espressione del suo impegno politico e culturale. Nasce il Signor G.
In quegli anni così densi di cambiamenti, il protagonista del brano Il signor G incontra un albero è “un omino piccolo borghese, che diventa uno che si interessa di più alla vita vera”, ricorda Luporini: “lì è partito tutto”.
Far finta di esser sani, Polli d’allevamento, Io se fossi Gaber, fino E pensare che c’era il pensiero e l’ultimo Un’idiozia conquistata a fatica: chi ha avuto la fortuna di vederlo sul palco, là dove davvero era a suo agio, non può dimenticare l’impatto della sua voce, delle parole, del corpo (la sua “melodia cinetica”, come la definisce il fotografo Guido Harari). Né la forza delle riflessioni che innescavano. Senza mai perdere, come sottolinea Riccardo Milani la capacità e la volontà di essere popolare. “Viaggiando dalla risata, al divertimento e la leggerezza, fino all’impegno, l’analisi, la passione, la rabbia, l’accusa.”
La prima volta – e l’unica – in cui Gaber recita un testo teatrale non suo arriva nel 1990, quando con l’amico di sempre Enzo Jannacci, Felice Andreasi e Paolo Rossi porta a Venezia Aspettando Godot.
Infine, il mondo che Gaber vive e attraversa per tutta la vita: la musica. Il jazz, il “rock suonato da jazzisti” con Tenco e Jannacci, Celentano, il rock’n roll, la musica leggera, la canzone d’autore. Da La ballata del Cerutti a Non arrossire, da Trani a gogò e Barbera e champagne a L’illogica allegria… e ancora Il dilemma, La libertà, La razza in estinzione, Destra-sinistra, Io non mi sento italiano.
La musica cantata, e suonata con la chitarra. La musica che diventa spettacolo, che diventa teatro, che diventa impegno… che resta viva. Come l’eredità di questo Artista, di cui avremmo ancora bisogno per cantarci, e raccontarci, il mondo.