Si alza il vento di Hayao Miyazaki ti aspetta al Cinema, dal 24 al 30 agosto, per il gran finale della rassegna Un mondo di sogni animati. Con il suo approfondimento Federica Lippi ci porta dietro le quinte di questo capolavoro.
Quello che sarebbe dovuto essere l’ultimo film di Hayao Miyazaki, dato il ritiro annunciato da lui stesso nel 2013, è un’opera atipica all’interno della sua filmografia, l’unica priva di elementi fantastici, protagonisti adolescenti o orfani, animaletti buffi. Si alza il vento è una storia adulta per spettatori adulti, senza troppe concessioni a quelli più giovani, con molteplici livelli di lettura. Storia d’amore, romanzo di formazione, enorme riflessione sul senso della vita e dell’arte, l’opera è intrisa di riferimenti alla cultura occidentale a cavallo tra Ottocento e Novecento, oltre che una maestosa rappresentazione del Giappone prebellico.
Dice Miyazaki: «Volevo riprodurre in tutto il suo splendore il meraviglioso paesaggio verdeggiante del Giappone, dall’era Taisho all’inizio dell’era Showa. Allora il cielo era ancora limpido e punteggiato in alto da nuvole bianche. L’acqua scorreva trasparente. Nelle campagne non c’erano rifiuti. Ma d’altro canto nelle città la povertà era molto diffusa. Non volevo mettere in ombra le architetture usando tonalità seppiate; così abbiamo osato, utilizzando i colori del modernismo dell’Estremo Oriente. Le strade sono accidentate e irregolari. Le insegne dei negozi e i cartelloni pubblicitari si sovrappongono disordinatamente. Ovunque, mucchi di pali elettrici e di altro genere».
Il regista dichiarò anche che lavorare al film fu un’esperienza infernale, che non era mai contento dei disegni, che fu spesso sul punto di buttare via tutto e che spinse al limite estremo la dedizione e il sacrificio a cui era in ogni caso sempre stato abituato.
La vita di Jiro Horikoshi raccontata nel film è un po’ la vita di Miyazaki stesso, segnata da una passione che diventa abnegazione totale e totalizzante, e la storia narrata è ricca di intimi richiami autobiografici: il padre di Miyazaki era proprietario di una fabbrica di componenti per aerei e la madre, affetta da tubercolosi spinale, rimase per quasi un decennio ricoverata in ospedale quando il regista era bambino. Lui stesso, prima di dedicare la sua vita all’animazione, studiò come progettista nello stesso ambito di Horikoshi.
Ma chi è questo Jiro Horikoshi? È l’ingegnere aeronautico, realmente esistito, che progettò il celebre velivolo Zero, utilizzato dall’esercito giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale. Il protagonista del film è plasmato su di lui e sullo scrittore Tatsuo Hori, che nel racconto Kaze Tachinu del 1936 narra il suo rapporto con la moglie malata di tubercolosi.
L’idolo del piccolo Jiro, bambino miope e per questo destinato a non poter mai diventare pilota, è Giovanni Battista Caproni, ingegnere italiano pioniere dell’aeronautica, che gli appare in sogno e predice il suo futuro da progettista. Così andrà. Sacrificando la sua etica pacifista e continuando a sognare il suo nume tutelare Caproni, Jiro disegnerà aerei che verranno usati in guerra, anche se il film si ferma nel 1937, prima che il velivolo fosse effettivamente pilotato per la prima volta durante l’invasione della Cina. Miyazaki limita il racconto agli sforzi logoranti e disumani che portarono alla sua realizzazione. Non un racconto bellico dunque, ma un inno alla bellezza.
A chi accusò il regista di aver tradito i suoi ideali per mitizzare il Giappone guerrafondaio, si ricordino le parole di Honjo, collega e amico di Jiro: «Non disegniamo aerei per fare la guerra, disegniamo aerei perché sono belli», o quelle di Caproni: «Gli aerei non sono strumenti di guerra, ma sogni». E si notino le numerose scene in cui viene sottolineata l’arretratezza tecnologica e culturale del Giappone, paese che deve rincorrere la Germania come Achille rincorre la tartaruga.
Parallelamente alla sua vita lavorativa, corre la travagliata storia d’amore di Jiro con Nahoko, conosciuta per caso durante il Grande Terremoto del Kanto del 1923 e mai dimenticata. I due si ritrovano, si rincorrono, si innamorano, ma la malattia mina la salute di Nahoko. Jiro non può fare a meno di sacrificare anche la sua vita matrimoniale sull’altare della dedizione al lavoro, e se con una mano disegna, con l’altra stringe quella di Nahoko, che lo ama proprio per la passione che mette in quello che fa.
Vuole far volare un aereo curvo come la spina di uno sgombro, ma scappa dall’ufficio in lacrime quando un telegramma lo avverte che Nahoko ha avuto un’emorragia polmonare. Il film è calibrato perfettamente, come se il regolo calcolatore continuamente utilizzato dal protagonista misurasse le proporzioni non solo degli aerei che disegna ma anche della sua vita, del suo amore e in qualche modo del film stesso.
Tra le molte citazioni e riferimenti di cui sopra, la più ricorrente è quella in esergo: Le vent se lève. Il faut tenter de vivre (Si alza il vento. Bisogna tentare di vivere), tratta dal poema Il cimitero marino di Paul Valéry e letteralmente recitata dai protagonisti. Il vento si leva durante il tragico terremoto del Kanto, avvenimento cruciale per la storia del Giappone che fece oltre 100.000 vittime e durante il quale Jiro incontra per la prima volta Nahoko.
Il vento si leva quando i due si ritrovano per caso anni dopo in una pensione di montagna e soffia sulla scena del corteggiamento, balletto muto e incantevole dell’impacciato protagonista che lancia aeroplanini di carta alla sua amata; sulla “montagna magica”, come la chiama per scherzo l’ospite tedesco Hans Castorp, che stringe amicizia con Jiro e gli preannuncia l’incombente conflitto mondiale.
Di citazione in citazione, Hans Castorp è il nome del protagonista del romanzo La montagna incantata di Thomas Mann, ambientato in un sanatorio montano. Le fattezze di Castorp, personaggio brillante in fuga dal governo nazista tedesco, sono invece quelle di un amico e collega di Miyazaki, Stephen Alpert, che ha poi doppiato il personaggio nella versione originale del film.
Il vento è anche nella calligrafia appesa in sala riunioni e a casa del capo di Jiro, il burbero Kurokawa dal cuore d’oro. 天上大風 (“tenjou ookaze”) compare due volte e significa “forte vento in alto nel cielo”, opera del monaco buddhista Ryokan, poeta e calligrafo, vissuto tra il XVIII e il XIX secolo. Secondo la moderna interpretazione, la frase indicherebbe la benevolenza del Buddha, che veglia sugli esseri umani come un forte vento, anche se sulla terra tutto sembra quieto. Nel film la calligrafia è opera di Toshio Suzuki, leggendario produttore dello Studio Ghibli.
Non mancano le citazioni musicali, all’interno della colonna sonora del sodale Joe Hisaishi, alla sua decima collaborazione con Miyazaki, come Il viaggio d’inverno di Schubert, che Jiro e il collega Honjo ascoltano di sfuggita in Germania mentre passeggiano discutendo amareggiati dell’arretratezza tecnologica del loro paese, o il divertente brano tedesco suonato al pianoforte da Castorp in albergo.
Restando nell’ambito del sonoro, Miyazaki pretese che il film fosse in mono, anziché stereo, per far risaltare solo determinati suoni, senza bisogno di stratificarli con altri. Un dettaglio curioso e forse di non immediata percezione è che molti rumori sono ricreati da voci umane, come ad esempio il motore fuori giri degli aerei, il fischio della locomotiva a vapore, il rumore delle auto e il brontolio della terra durante il terremoto.
Il magnifico aereo progettato da Jiro, il Mitsubishi A6M detto Zero, entrò in guerra nel 1940. Di tutti i velivoli inviati non ne tornò indietro nessuno, finirono tutti distrutti. Caproni saluta i caduti in battaglia nell’ultima scena del film, accompagnato da Jiro che saluta la sua Nahoko. Gli Zero volano alti nello stesso cielo in cui si ritrovano i piloti morti in Porco Rosso, un cielo grande e benevolo che accoglie le vittime di guerra in guerra, di film in film.
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