In occasione del ritorno al cinema di Scarface, a 40 anni dall’uscita italiana, abbiamo chiesto ai giornalisti cinematografici di raccontarci chi è per loro Tony Montana.
Brian de Palma alla regia, Oliver Stone alla sceneggiatura, le musiche di Giorgio Moroder, il fascino di una Michelle Pfeiffer agli esordi… e Al Pacino nei panni di uno dei cattivi più carismatici della storia del cinema: un profugo cubano deciso a prendersi il mondo, a conquistare il Sogno Americano, qualunque cosa significhi.
Era il 1984 quando Scarface arrivava nelle sale italiane: sono passati quattro decenni, che hanno trasformato questo gangster movie in un autentico cult, e Tony Montana in un’icona. Un simbolo dalle molte sfaccettature, in cui continuiamo a trovare nuovi significati.
In occasione del ritorno sul grande schermo, come evento speciale l’8-9-10 aprile, abbiamo chiesto ai giornalisti cinematografici di raccontarci cosa rappresenta per loro questo personaggio indimenticabile.
Tony Montana per me è il volto doppio dell’ambizione.
È la faccia col ghigno a forma di lama che prende alla gola la vita per nutrirsi del suo sangue.
È, però, anche il viso smaltato di luce di chi alza la testa e scopre che ci sono altri orizzonti nascosti da muri e recinti.
Tony Montana è da sempre per me: libertà e maledizione.
(Manlio Castagna)
Solo un rifugiato politico dei tanti approdati in Florida dalle carceri cubane o piuttosto, fin da ragazzo, un giovane delinquente con la vocazione della malavita? Nella sua irresistibile ascesa criminale Tony Montana resta nell’immaginario collettivo del cinema più violento degli anni Ottanta un personaggio chiave nella galleria dei gangster che Al Pacino ha messo in scena nella sua carriera. Senza le cupezze intime di Michael Corleone il suo Scarface è un’icona indimenticabile della più efferata delinquenza del cinema noir. E se non ci fosse stato, qualche anno dopo ad Al Pacino non sarebbe bastato un soprabito di pelle nera per siglare, in Carlito’s way un’altra icona della sua straordinaria galleria di criminali.
(Laura Delli Colli – Presidente Sindacato Giornalisti Cinematografici Italiani)
Tony Montana è puro istinto vitale, spregiudicatezza dal lato sbagliato. È l’America della sopraffazione, del denaro, del self made mad che siede al tavolo da gioco con la sola carta della violenza spiccia e del fiuto. Quando vince inorridiamo, ma quando perde si spegne la speranza dell’uguaglianza: chi viene dalla povertà ha una corsia preferenziale verso il male.
(Cristina Battocletti – Il Sole 24 ore)
Tony Montana è uno dei più potenti simboli cinematografici della sconfitta, di un tramonto infuocato ed eterno sulle palme di Miami. Affondato nel suo trono nero e dorato, con il gessato sgualcito e i capelli spettinati, Tony Montana è l’immagine del sogno americano tradito e divorato da un capitalismo guerrafondaio – «You want to go to war? We take you to war, okay?» -, sanguinolento e avido. È la caduta senza fine di un uomo e della stessa società che lo ha nutrito, venerato e, infine, crivellato.
(Marco Contino – Il Mattino di Padova/La Nuova Venezia/La Tribuna di Treviso)
Ricorderete: Tony Montana, dopo un’epica battaglia nella sua villa pacchiana, ben sorretto da ampie dosi di cocaina, muore per un colpo di lupara alla schiena sotto il monumento con la scritta “The World Is Yours”, il mondo è tuo. Ma era davvero suo? Se Brian De Palma lo volle cubano e anticastrista, nel suo filmone del 1983, all’origine “Scarface” era italo-americano, e si chiamava Antonio Camonte, come si può vedere nel film di Howard Hawks del 1932. In buona misura sta qui la differenza. De Palma ne fece un gangster survoltato e ferocissimo, nato povero nell’isola di Castro, ossessionato dall’idea di farsi strada nella Florida dei ricchi.
Sarà piacevole finalmente ascoltare Pacino che parla con la propria voce, non con quella bella, ma un po’ stereotipata, di Ferruccio Amendola. E rivedere quella scena, così tanto poi parodiata, nella quale Montana infila il viso intero in una montagna di cocaina.
(Michele Anselmi)
Pelle scura in mezzo ai bianchi, Antonio è il diverso, uno che deve conquistarsi ogni cosa, dal diritto a migrare in su. “Educato” a carcere e comunismo, col nome di Tony si piglia tutto, fino a quando non perde la fame. Un messia criminale che dall’acqua arriva e nell’acqua se ne va: un povero Cristo, uno di noi.
(Raffaella Giancristofaro – Mymovies)
Tony Montana è l’altra faccia dell’American Dream, o forse il suo miglior rappresentante. Arriva da un altro paese, parte dal basso e si inerpica sulla scala sociale fino al vertice. O quasi, quel quasi che lo farà cadere miseramente. Una figura shakesperiana, ma d’altronde chi non lo è se destinato alla grandezza e al dolore, con una mostruosità da Riccardo III che emana un fascino selvaggio e inspiegabile da cui quasi ci si vergogna d’ammettere d’essere rapiti. Perché Tony Montana è parte di noi, è il lato oscuro che teniamo nascosto a fatica e che abbracciamo ogni volta che facciamo il tifo per il cattivo di turno. Tony, è inutile negarlo, è l’eroe di cui abbiamo bisogno per sentirci migliori.
(Alessandro De Simone – Ciak)
Spietato, testardo e disobbediente. Prepotente, narcisista ma anche onesto, ottimista e con un singolare codice morale. Potremmo dire in breve: un villain con luci ed ombre. Un personaggio che mette in scena una brillante e oscura satira del gangster. Un ruolo decisamente esagerato e che Al Pacino ha reso unico (forse anche il suo preferito!). Questo è Tony Montana.
(Margherita Bordino – Artribune)
Tony Montana è per me il cinema. O, potremmo dire, una guida che mi ha condotto al cinema. Erano gli anni ’80, era il periodo in cui, da adolescente, noleggiavo vorace un film al giorno da guardare dopo aver studiato. In Scarface mi sono imbattuto per caso, dopo aver amato altri film di De Palma, e mi dato la sensazione di trovarmi davanti a un cinema diverso, “più grande” di quello che guardavo, più vicino per portata ai grandi classici. Tony Montana mi ha accolto sulla soglia della Settima Arte e mi ha guidato in quel mondo.
(Antonio Cuomo – Movieplayer)
“Il mondo è tuo”: sta tutto in questa frase il personaggio di Tony Montana, simbolo dell’ambizione sfrenata degli anni Ottanta, icona di un cinema che guarda al passato (il Tony Camonte dello Scarface del 1932 di Howard Hawks) per capire il presente. Un personaggio che rappresenta un’inquietante rivalsa sociale, capace di lasciarsi alle spalle la miseria per scalare le vette del potere mafioso, tra montagne di soldi, cocaina e camicie colorate. Tony Montana però è anche un Al Pacino in stato di grazia: bastano poche smorfie rabbiose per rappresentare i tormenti interiori di un personaggio memorabile e sempre attuale.
(Andrea Chimento – Longtake)
Tony Montana, normalmente, a Hollywood sarebbe un villain viscido standard. Ricontestualizzato da Stone e De Palma come prodotto degli errori di due paesi – quello che non vuole tenerlo e quello che non sa accoglierlo – diventa il più beffardo degli eroi shakespeariani. Oggi è un vero idolo per la malavita, a dimostrazione che non abbiamo imparato niente.
(Nanni Cobretti – I 400 calci)
Tony Montana è sempre stato un uomo che non sa ballare. È un criminale col complesso del Dio – e lo diventerà per un tratto della sua vita – che viene abbordato dalla donna più affascinante di tutto il Babylon Club, Elvira Hancock, maledettamente spocchiosa e annoiata. È il tipico esempio di “maschio” che vuole essere grande, ma che quando agita le sue braccette appare per l’omuncolo che è in realtà. E quella sarà la sua fine, anche se ci vorrà tempo. Nel mentre, perciò, balla. O almeno, ci prova. Balla saltando su se stesso, zompettando attorno ad una creatura divina. In fondo, lo trovo anche buffo nella sua follia di onnipotenza, questo Tony Montana. Che sia il vero protagonista de La bella e la bestia?
(Martine Barone – The Hollywood Reporter)