Scopriamo l’intenso Tori e Lokita, il nuovo film dei registi due volte Palma d’Oro Jean-Pierre e Luc Dardenne, nella parole dei due grandi cineasti.
Scopriamo l’intenso Tori e Lokita nelle parole di Jean-Pierre e Luc Dardenne. I registi due volte Palma d’Oro (nel 1999 con Rosetta e nel 2005 con L’enfant, membri dunque del circolo ristretto dei “doppi vincitori”, che vanta nomi come Ford Coppola, Kusturica, Loach, Haneke e Östlund), Maestri nel raccontare la realtà, scavano ancora una volta nell’anima degli spettatori, attraverso la storia di due giovanissimi migranti e del loro legame indissolubile, contro ogni avversità.
Emozionandoci, tra riflessioni e indignazione, con la forza del loro Cinema, nel film vincitore del Premio Speciale per il 75° anniversario al Festival di Cannes.
Andare oltre la narrazione dei media, per raccontare i minorenni migranti non accompagnati, senza relegarli a numeri e statistiche, ma raccontarli come esseri umani unici; un tema al quale i cineasti belgi pensavano da dieci anni, e che si è concretizzato in una storia di sopravvivenza attraverso l’amicizia.
L’amicizia è quella tra Lokita, una ragazza adolescente, e Tori, un bambino appena uscito dall’infanzia, entrambi provenienti dall’Africa, dal Camerun e dal Benin. Tori e Lokita (interpretati, come spesso nella filmografia dei Dardenne, da attori non professionisti, i sorprendenti Pablo Schils e Joely Mbundu) possono contare solamente l’uno sull’altra, per affrontare le difficoltà della vita lontani da casa. Ma in Belgio, dove sono arrivati dopo un lungo e difficile viaggio, la burocrazia sembra destinata a separarli, perché Lokita non ha i documenti necessari.
Il legame tra i due è qualcosa che va oltre la “semplice” sopravvivenza, raccontano i registi: «non si tratta solo di essere presenti l’uno per l’altro, di aiutarsi a vicenda a pagare i contrabbandieri, a regolarizzare la propria situazione, a trovare lavoro sul mercato nero, inviare denaro alle famiglie… Si tratta anche di non poter stare l’uno senza l’altro, di amarsi come fratello e sorella, di formare una famiglia per non rimanere soli nel buio con i propri incubi, per lasciarsi consolare da un gesto, da una parola o da una canzone, per non sprofondare nella solitudine e negli attacchi di panico.»
Insieme i due ragazzini parano i colpi della vita in esilio, reagiscono, si ribellano all’indifferenza e a un destino segnato, che accomuna tristemente migliaia di giovani arrivati faticosamente in Europa. Si sostengono, diventano famiglia.
Lo sguardo dei Dardenne indugia sulla loro umanità, sui loro giochi, sulle canzoni che cantano insieme (l’indimenticabile Alla fiera dell’Est di Angelo Branduardi, imparata durante la permanenza in Sicilia, dove Tori e Lokita sono “diventati” fratelli”) e sui gesti di tenerezza reciproca che rivelano la forza del loro legame più di qualsiasi dichiarazione.
Nati documentaristi, i Dardenne scelgono di non limitarsi a fotografare una realtà che pure troppo spesso preferiamo non guardare; anzi la amplificano, la rendono ancora più reale attraverso il racconto di questa amicizia che non viene mai meno, riuscendo a far riflettere e indignare.
«La loro situazione di adolescenti esiliati, abbandonati, sfruttati e umiliati ha acquisito una nuova dimensione grazie alla loro amicizia, che si è rafforzata grazie alla loro capacità di reagire e, senza volerlo, il nostro film è diventato anche una denuncia della situazione violenta e ingiusta vissuta da questi giovani in esilio nel nostro Paese, in Europa.»
All’interno di una trama dal ritmo serrato, che attinge a piene mani dai film thriller e d’avventura, raccontano che «la sfida che abbiamo affrontato come registi è stata quella di filmare il sostegno e la tenerezza che vengono fuori dall’amicizia tra i due protagonisti, che si spinge fino all’estremo sacrificio di sé per salvare l’altro.»
Il risultato è un film che appassiona, coinvolge… e che colpisce dritto al cuore, non attraverso il pietismo, ma attraverso l’empatia.