Un banale litigio tra due uomini diventa simbolo di conflitti culturali che, in fondo, ci riguardano tutti. Dopo aver conquistato il Festival di Venezia L’insulto di Ziad Doueiri arriva al cinema.
Un litigio per una grondaia che arriva al cospetto del presidente Libanese. Uno scontro privato che diventa simbolo di anni di lotte tra culture, popoli e religioni all’interno dello Stato mediorientale: questa volta in lotta ci sono due uomini, Toni e Yasser, uno iscritto al Partito Cristiano di Destra, l’altro un musulmano palestinese, profugo in uno dei tanti campi.
È proprio il litigio la “scintilla” che statena la vicenda raccontata dal regista libanese Ziad Doueri nel film L’insulto, nei cinema dal 6 dicembre, film selezionato per rappresentare il Libano ai prossimi Premi Oscar e accolto con grande favore alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove Kamel El Basha, uno dei protagonisti, ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile.
La lotta dei due in tribunale trasforma la questione privata in un caso nazionale. Loro, le parti in causa. Intorno avvocati, familiari e due intere culture, visioni della vita e religioni, di nuovo una contro l’altra in una sorta di regolamento di conti che porta di nuovo alla luce un passato che in Libano sembrava sopito, e che invece ritorna in scena più amaro che mai.
“Se me lo chiedete la parola stabilità viene prima di quella verità”, una frase che è già simbolo di tutto quello che rappresenta il Libano, i suoi equilibri e le sue contraddizioni, il tutto all’interno di un film accolto con grande favore dalla critica e che terrà inchiodato lo spettatore fino all’ultima scena.